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Qualità del lavoro, Calabria penultima in Italia

Il dato emerge dallo studio condotto dalla Cgia. Presi in esame 8 indicatori del livello di benessere nel mondo del lavoro

Pubblicato il: 04/05/2024 – 10:04
Qualità del lavoro, Calabria penultima in Italia

CATANZARO La Calabria è tra le regioni che registra il minor livello di qualità del lavoro. È quanto emerge dall’analisi condotta dall’Ufficio studi della Cgia sulla base del rapporto Bes (Benessere Equo Sostenibile), presentato dall’Istat. La regione è, infatti, al penultimo posto in Italia nella classifica stilata dagli analisti per misurare le condizioni del lavoro e conseguentemente il benessere dei lavoratori. Peggio della Calabria fa solo la Basilicata.
Stando a questo studio redatto tenendo in considerazione otto indicatori, la Calabria appunto otterrebbe uno dei peggiori punteggi: 13,1 su 100. Distante da regioni come la Lombardia o la Provincia di Bolzano che ottengono rispettivamente 86,3 e 83,7 su 100 (valore massimo). In particolare, gli analisti della Cgia, hanno preso in considerazione questi indicatori: i dipendenti con paga bassa; occupati sovraistruiti; occupati con lavori a termine da almeno 5 anni; tassi di infortuni mortali e inabilità permanente; occupati non regolari; soddisfazione per il lavoro svolto; percezione di insicurezza dell’occupazione ed il part time involontario.


Tutti indicatori in cui la Calabria, stando ai dati Istat, si collocherebbe agli ultimissimi posti. A differenza ad esempio della Lombardia dove la qualità del lavoro e di conseguenza il benessere aziendale non hanno eguali nel resto del Paese.
Seguono la Provincia Autonoma di Bolzano e il Veneto; appena fuori dal podio troviamo la Provincia Autonoma di Trento, il Piemonte e la Valle d’Aosta. Ma, invece, le regioni del Mezzogiorno: ad eccezione della Sardegna, sono tutte collocate nella parte bassa della graduatoria. Le situazioni più critiche, riguardano appunto oltre la Basilicata, la Calabria e la Sicilia che si occupano degli ultimi tre posti della classifica nazionale.

Il commento

«Dopo l’avvento della pandemia – scrivono in una nota gli analisti della Cgia – anche il nostro mercato del lavoro ha subito delle trasformazioni importanti. In molte aree del Paese, ad esempio, le imprese faticano sempre più a trovare profili con competenze adeguate».
«Pertanto, mai come in questo momento – sottolineano hanno la necessità’ di fidelizzare i propri collaboratori. Questa operazione sta avvenendo per mezzo di una serie di comportamenti molto virtuosi; come la corresponsione di retribuzioni più elevate, la trasformazione dei contratti a termine a tempo indeterminato, la possibilità di consentire ai dipendenti orari di lavoro più flessibili, attraverso il ricorso a strumentazioni professionali più innovative, favorendo gli avanzamenti di carriera e, infine, con l’implementazione di benefit e di welfare aziendale».
«Nel Nord – scrivono – questo processo di miglioramento del benessere aziendale, soprattutto nelle Pmi, è ormai in corso da qualche anno. Nonostante ciò, la fuga dal posto di Lavoro fisso prosegue. Quando l’offerta di Lavoro è in forte aumento e la domanda scarseggia, il rischio che le aziende si “rubino” i dipendenti migliori è molto elevato».
Secondo l’Inps, infatti, «le dimissioni volontarie dei lavoratori dipendenti privati ​​a tempo indeterminato con meno di 60 anni sono in aumento: nel 2022 (ultimo dato disponibile) hanno toccato quota 1.047.000 e, rispetto al 2019 (anno pre-Covid), sono cresciute di 236 mila unità (+29%). Ancorché siano dati grezzi, è verosimile ritenere che sia in aumento il numero di coloro che hanno deciso di lasciare il vecchio posto di Lavoro per uno nuovo». «Una decisione, quest’ultima, spesso maturata dopo aver ricevuto un’offerta retributiva migliore – conclude la nota – e la messa a disposizione di un ambiente di Lavoro meno “stressante” del precedente». (rds)

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