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Le fibrillazioni per l’estorsione al parcheggio di Piazza Fera a Cosenza. «Era dei Muto»

Il racconto del pentito Impieri a “Reset”. Il pizzo, la sparatoria alla sala giochi e la Confederazione. «Oggi non c’è un capo, ma una cosa sola»

Pubblicato il: 18/06/2024 – 19:33
di Fabio Benincasa
Le fibrillazioni per l’estorsione al parcheggio di Piazza Fera a Cosenza. «Era dei Muto»

COSENZA Luciano Impieri, ex membro del clan “Rango-Zingari” battezzato prima “Picciotto” e poi “Camorra” nel 2009 da Franco Bruzzese e Maurizio Rango in carcere, è il collaboratore di giustizia chiamato a testimoniare nel processo scaturito dall’inchiesta “Reset“, in corso dinanzi al tribunale di Cosenza e ospitato nell’aula bunker di Lamezia Terme. Condannato per associazione a delinquere ed estorsione nell’ambito del processo “Nuova Famiglia“, Impieri riporta indietro la memoria e ricorda fatti ed eventi del suo passato criminale segnato dall’incontro nel 2002 con Franco Bruzzese e Carlo Lamanna e proseguito con la “staffetta” negli assalti ai portavalori portati a termine dalla mala cosentina. «Per una offesa ho sparato una persona», esordisce il pentito. Che inanellerà una serie di arresti, un via vai dal carcere ai domiciliari fino alla decisione di collaborare con la giustizia. Un uomo particolarmente attivo nel settore delle estorsioni, è lo stesso pentito ad ammetterlo. «Un mese ho portato 70-80mila euro di estorsioni».

Le estorsioni

Il pm sollecita il ricordo del collaboratore su alcune estorsioni finite nell’inchiesta “Reset“. Si parte da un supermercato, «fatta a Pasqua o Natale 2013, c’è stato detto di prendere i soldi anche degli “Italiani”. Sono andato insieme a Tonino Abbruzzese detto “Banana”. Se non ricordo male ci ha consegnato 6mila euro». Chi vi ha mandato a prendere i soldi? «Maurizio Rango». I soldi finiscono nella “bacinella” comune? «Sapevo fossero destinati alla bacinella, non so se qualcuno li ha mangiati». C’è un altro episodio estorsivo che vede protagonista Impieri nell’operazione “Reset”. Di mira sarebbe stato preso un noto bar. «Sono andato personalmente con Adolfo Foggetti, era il 2014, ho fatto chiamare al proprietario che ci ha condotti sotto. Mi guardava quasi a sottovalutarmi, io ridevo e gli dicevo “toglili sti soldi” e lui ha risposto “io il regalo già lo faccio” e siamo rimasti di stucco». I due avrebbero chiesto a chi stesse pagando. «Faccio il regalo a Patitucci», avrebbe risposto il commerciante. Il racconto prosegue. «Siamo tornati indietro ed abbiamo raccontato tutto a Rinaldo Gentile, che però avrebbe negato qualsiasi pagamento». Foggetti e Impieri torneranno al bar per chiedere nuovamente al commerciante il destinatario dei suoi pagamenti. «I soldi li consegno ad ogni festività a Rosanna Garofalo (ex moglie di Patitucci, ndr)», questa la risposta fornita. Tuttavia Rinaldo Gentile avrebbe riferito a Impieri e Foggetti di non essere interessato al “sottobanco” di Patitucci intimando al commerciante il pagamento. Addirittura, Impieri arriva a chiedere una estorsione per «un saluto non dovuto», uno sgarro che costerà 5.000 euro alla vittima delle attenzioni dell’odierno testimone. Ed ancora, l’ex membro del gruppo “Rango-Zingari” tenterà di imporre un’estorsione ad una pizzeria, ma «il proprietario non voleva pagare e addirittura aveva fatto un’offesa». Il mattino seguente, «mi dicono che gli hanno fatto saltare la pizzeria». Sempre Maurizio Rango avrebbe ordinato «un’estorsione da 5.000 per Natale, Pasqua e Ferragosto» da un uomo che Impieri incontrerà a via Popilia. E’ a conoscenza di estorsioni ai danni di ambulanti alla Fiera di San Giuseppe a Cosenza? Chiede il pm. «A fare le estorsioni per gli “Zingari” era Sergio Del Popolo detto “il saponaro” che era sotto usura da Giovanni Abbruzzese» e in generale «l’affare era di interesse di Alfonsino Falbo». I soldi recuperati «18mila euro» sono stati divisi tra i clan ma Falbo si sarebbe arrabbiato perché «quando andava lui portava sempre 80-90mila euro». Le estorsioni sarebbero avvenute tutti gli anni.
L’esame prosegue. E’ a conoscenza di una estorsione ai danni di una gioielleria di Cosenza? «Quando sono uscito dal carcere nel 2013, sono andato dal titolare ed ho trovato un suo cambiamento. Prima rispettava molto, si è sempre messo a disposizione. Ero senza soldi all’epoca perché prendevo lo stipendio da poco tempo, volevo fare un regalo a mia moglie e sono andato in gioielleria. Volevo prendere un anello, l’ho scelto e al momento del pagamento ho chiesto se poteva metterlo in un conto ed ha risposto di no». Il fatto infastidisce Luciano Impieri che a Daniele Lamanna confesserà la volontà di sparare al proprietario della gioielleria. Un proposito poi naufragato, perché «pagava l’estorsione a Patitucci, 5mila euro». Anche una gelateria sarebbe finita sotto estorsione. «Mi pare che pagasse 4mila euro, andava Adolfo Foggetti a ritirare i soldi solo un paio di volte sono andato io».

Le fibrillazioni per l’estorsione a Piazza Fera

Fibrillazioni e dissidi all’interno del clan sorgono in merito alle estorsioni al parcheggio di Piazza Fera a Cosenza, «poi si è saputo che era dei Muto di Cetraro». Secondo il racconto fornito da Impieri, «Piromallo voleva parlare con i Muto per farci entrare nelle estorsioni, non solo gli “Italiani” ma anche gli “Zingari”. Rinaldo Gentile però un giorno ci disse che lì “c’erano gli amici di Cetraro, è loro il parcheggio”». L’affare dei parcheggi porterà Daniele Lamanna e Luciano Impieri a compiere un passo indietro rispetto a Maurizio Rango che «voleva rompere con gli “Italiani” e picchiare Rinaldo Gentile. A noi non piaceva questo suo comportamento, anche nella vita criminale bisogna avere rispetto». Inoltre «io avevo la lista delle estorsioni da fare, mi aveva dato la lista Umberto Di Puppo, Rango veniva spesso e volentieri a rompere queste regole. Chi paga non deve avere fastidi e invece non andava così». Questo distacco, datato aprile-maggio 2014, porterà sia Lamanna che Impieri ad avvinarsi a Mario Gatto. «Camminavo con le pistole ed ho detto che nessuno avrebbe dovuto intromettersi nella mia vita». I tre si riuniranno. «Abbiamo deciso di fare estorsioni a Rende, Mario Gatto mi manda a chiamare e mi dice di lasciare stare la cosa».



I rapporti nel clan

I rapporti criminali tra Michele Di Puppo e Maurizio Rango erano buoni, ma «il difetto lo faceva sempre quest’ultimo, perché aveva un carattere particolare». Il racconto prosegue. «Di Puppo aveva un suo gruppo, la sua persona di fiducia era Alberto Superbo poi c’erano anche Umberto Di Puppo, Francesco De Luca: questi quelli che ho conosciuto. Superbo lo conosco da tantissimo tempo, girava con un motorino senza patente». Michele Di Puppo, dice Impieri, «mi ha detto di portare una ‘mbasciata a Rango per farmi avere una dote di ‘ndrangheta» perché «Di Puppo era una persona rispettata e temuta da tutti». Secondo il collaboratore, Rango e Di Puppo avrebbero fatto «accordi di pace», in particolare «il 60% su estorsioni e droga lo prendevamo gli “Italiani” mentre gli “Zingari” il 40%». La differenza a favore dei primi perché «avevano più detenuti da mantenere». Ed ancora «mi dicevano che era stato Ettore Lanzino a decidere le percentuali». Di tutti questi fatti, saranno Maurizio Rango ed Ettore Sottile a parlarne con il pentito.

La riunione e la pace

C’è stato un summit, come si evince dal racconto di Impieri. «Una riunione per decidere della morte di Luca Bruni, serviva il comune accordo per il delitto». Ma il pm della Dda di Catanzaro Vito Valerio chiede al collaboratore specifiche su una riunione legata alla stipula di un accordo di pace siglato tra i capi clan. «Erano presenti Maurizio Rango e Franco Bruzzese per la parte rom, poi Umberto Di Puppo e Renato Mazzulla (che aspettava fuori). Si è stabilito che con il 60%-40% si poteva stare bene e si stava in pace e quindi ognuno poteva andare a mangiarsi la pizza con la famiglia senza il timore di essere ucciso». Per quanto riguarda i soggetti di vertice del clan degli “Italiani”, il pentito ricorda «Francesco Patitucci, Roberto Porcaro, Mario “Renato” Piromallo, Mario Gatto, Gianluca Marsico».
Il primo «mi è stato presentato in un parcheggio dove vendevano auto, c’era stato un brucio e si diceva che avesse perso la testa. Tra il 2005-2006, era appena uscito dal carcere». Porcaro, invece, «me l’ha presentato Rango, prima ne sentivo solo parlare. Eravamo al bar e c’era stato l’arresto di Antonio Illuminato per una questione di armi e dicevano che Porcaro era una persona importate. Illuminato era il suo autista». Su Mario Piromallo, il pentito ricorda «mi veniva a prendere a scuola e mi lasciava a casa. So che dava la droga ad Ettore Sottile, la “bianca”. A Cosenza non si trovava cocaina in giro, Piromallo gli fece arrivare un chilogrammo di droga a distanza di due giorni da un incontro fatto a via Popilia». E Sottile avrebbe elogiato Piromallo considerato «una persona di parola». L’elenco delle figure legate al crimine bruzio prosegue e su Franco Presta, il collaboratore dice che «era molto temuto, lo chiamavano il sanguinario» ed «ho conosciuto anche Antonio Presta, era temuto ed era uno che comandava e so che è stato arrestato nel processo “Santa Tecla”, una grossa operazione di droga. Aveva il gruppetto suo e so che facevano cose a Milano, avevano capannoni dove spacciavano droga e poi facevano truffe. Avevano tantissimi soldi». I rapporti di Tonino Presta con gli “Italiani” «erano buoni». Sollecitato dalle domande del pm, il pentito prosegue con i flashback. «Conosco anche Adolfo D’Ambrosio da molti anni, ho avuto rapporti di tipo criminale quando sono uscito dal carcere a febbraio 2013. Si occupava di estorsioni boschive in Sila». Conosce Luigi Berlingeri? «Si doveva essere ucciso, era una persona a disposizione ma non faceva parte dell’associazione: quando c’erano Franco e Giovanni Abbruzzese si avvicinava per fare le rapine. Dopo i colpi andava a Milano, aveva una doppia vita». «Andrea Reda si occupava di slot machines», le macchinette nei bar cosentini «venivamo messe prima da Carlo Drago che dava 300-400 euro, una percentuale dei ricavi delle slot che venivano lasciate in una busta lasciata ad una persona che le consegnava a noi». Come subentrò Reda? «C’era stata una mancanza di Drago al quale erano stati chiesti 5.000 euro a titolo di prestito (che non venivano mai restituiti), soldi che lo stesso negò». A seguito del rifiuto, «Rango voleva picchiarlo e gli disse di togliere le macchinette. Successivamente Andrea Reda installerà le sue slot».
E infine, «Oggi non c’è un capo a Cosenza o a Cassano, c’è una cosa sola». Il riferimento di Impieri è alla presunta presenza della “Confederazione di ‘ndrangheta”.

Il litigio Porcaro-Ariello

Il pentito ricorda un «disguido» tra Roberto Porcaro e Salvatore Ariello. Quest’ultimo, in carcere, riceve una ‘mbasciata portata da un ragazzo andato in permesso premio, si trattava dell’ex pentito Danilo Turboli. «Ariello prestava soldi ad usura, c’era qualcuno che non poteva pagare e su questa usura Porcaro aveva messo 1.500 euro». Soldi che avrebbe chiesto proprio ad Ariello. «Non si chiedono soldi a chi è in carcere», avrebbe risposto Ariello invitando Porcaro «a fare l’uomo».

La sparatoria alla sala giochi

Nei racconti di Impieri trova spazio un episodio legato ad una sparatoria a Cosenza. «Maurizio Rango ha ordinato di sparare alla porta della sala scommesse di Francesco De Cicco per estorsione e ha sparato Danilo Bevilacqua con Antonio Taranto a fare da staffetta». Impieri ricorda che «c’erano Mario Piromallo, Salvatore Ariello e Roberto Porcaro. Era sotto usura e non doveva essere toccato altrimenti ci dovevamo prendere la responsabilità di tutto. Noi non sapevamo che loro fossero immischiati ed abbiamo chiesto scusa».

Il controesame

Prende la parola l’avvocato Lucio Esbardo. Conosceva al momento del pentimento della Confederazione di Cosenza? «Si». Ha partecipato a qualche riunione? «C’era stata una riunione a Rende, in un capannone». Lei era presente? «Si, insieme a Daniele Lamanna, Ettore Sottile, Adolfo Foggetti, Maurizio Rango e poi sono arrivati Mario Gatto, Umberto Di Puppo e c’erano anche altre persone». Ha ricevuto confidenze da Antonio Presta? «Mi ha detto che era molto arrabbiato con il fratello e che gli avrebbe inviato una lettera». L’avvocato Gianpiero Calabrese chiede lumi sulle estorsioni effettuate alla Fiera di San Giuseppe. «Negli anni 2013-2014». L’avvocato De Rosa chiede informazioni si legami con Roberto Porcaro. «Parlavamo tante volte ed è stato presente alle riunioni quando bisogna uccidere Antonio Abbruzzese detto “Strusciatappine”». Ha incontrato qualcuno mentre si trovata agli arresti domiciliari? «Si, Mario Piromallo e Salvatore Ariello e altri».(f.benincasa@corrierecal.it)

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