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‘Ndrangheta, blitz della Gdf: tra Calabria e Marche sequestrati 5 milioni a un imprenditore – VIDEO

Eseguita la misura di prevenzione nei confronti di un soggetto originario della provincia di Reggio ritenuto vicino alla cosca degli Alvaro

Pubblicato il: 27/06/2024 – 9:18
‘Ndrangheta, blitz della Gdf: tra Calabria e Marche sequestrati 5 milioni a un imprenditore – VIDEO

REGGIO CALABRIA  Beni per 5 milioni di euro sono stati sequestrati ad un imprenditore edile, dai finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, con il supporto del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata e dei Comandi provinciali di Ancona e Pesaro-Urbino, coordinati dalla Dda reggina diretta da Giovanni Bombardieri. Il provvedimento è stato emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale nei confronti di Domenico Laurendi, detto Rocchellina. L’attività economico-finanziaria fa seguito all’operazione “Eyphemos“, già condotta dalla Squadra mobile di Reggio Calabria. Il sequestro è frutto della sinergica collaborazione tra forze di polizia nel contrasto alla criminalità organizzata. L’indagine economico-patrimoniale è stata eseguita da militari del Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Reggio Calabria, nei confronti di Laurendi, coinvolto nell’operazione “Eyphemos“, che ha colpito il locale di ‘ndrangheta di Sant’Eufemia d’Aspromonte, dotato di margini di autonomia rispetto alla cosca di riferimento, quella degli Alvaro, al cui interno l’imprenditore avrebbe rivestito un ruolo di vertice. In particolare, sulla base di quanto emerso nell’inchiesta, Laurendi sarebbe risultato capo, promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa all’interno del locale di ‘ndrangheta, con compiti decisionali e di pianificazione delle azioni delittuose da compiere. Inoltre, grazie al proprio carisma criminale, sarebbe riuscito a catalizzare un cospicuo numero di sodali desiderosi di fondare un banco nuovo, ovvero di formalizzare quell’autonomia che, di fatto, già da tempo veniva esercitata dal gruppo. L’imprenditore, secondo l’accusa, pianificava anche le attività economiche attraverso cui riciclare il denaro e coordinava operazioni patrimoniali finalizzate ad eludere l’applicazione di misure di prevenzione con l’intestazione fittizia dei beni a lui riconducibili. Laurendi, per tali motivi, è stato condannato in secondo grado alla pena di 19 anni di reclusione per il reato, tra gli altri, di associazione di stampo mafioso. Sulla base di quanto emerso dall’inchiesta “Eyphemos“, la Dda ha delegato il Gico a svolgere un’indagine economico-patrimoniale finalizzata all’applicazione di misure di prevenzione. Dagli accertamenti è emersa la sproporzione tra i redditi dichiarati ed il valore del patrimonio accertato. Sono state ricostruite anche le complesse manovre elusive ed i meccanismi di mimetizzazione dell’effettiva titolarità di beni. Il Tribunale ha quindi disposto il sequestro dell’intero compendio aziendale di una ditta individuale e 2 società operanti nel settore edile, 10 immobili, di cui 3 terreni e 7 fabbricati situati nelle province di Reggio Calabria, Ancona e Pesaro Urbino, oltre a rapporti bancari, finanziari, assicurativi e relative disponibilità.

L’esito delle investigazioni

In particolare, sulla base delle risultanze investigative l’imprenditore sarebbe risultato il capo, promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa all’interno del predetto locale di ‘ndrangheta, con compiti decisionali e di pianificazione delle azioni delittuose da compiere. Inoltre, grazie al proprio carisma criminale, sarebbe riuscito a catalizzare un cospicuo numero di sodali desiderosi di fondare un banco nuovo, ovvero di formalizzare quell’autonomia che, di fatto, già da tempo veniva esercitata dal gruppo. L’imprenditore pianificava anche le attività economiche da avviare attraverso cui riciclare il denaro e coordinava la realizzazione di atti di disposizione patrimoniale finalizzati ad eludere l’applicazione di misure patrimoniali attraverso l’intestazione fittizia dei beni a lui riconducibili. Per queste condotte – allo stato del procedimento e fatte salve successive valutazioni in merito all’effettivo e definitivo accertamento della responsabilità – il soggetto è stato condannato in secondo grado alla pena di 19 anni di reclusione per il reato, tra gli altri, di associazione di stampo mafioso. La Dda quindi ha delegato il Gico del Nucleo di Polizia Economica Finanziaria di Reggio Calabria a svolgere apposita indagine a carattere economico/patrimoniale finalizzata all’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali. L’attività in rassegna, anche valorizzando le risultanze delle pregresse indagini, ha consentito di rilevare, attraverso una complessa e articolata attività di riscontro, il patrimonio direttamente e indirettamente nella disponibilità dell’imprenditore, il cui valore sarebbe risultato sproporzionato rispetto alla capacità reddituale manifestata. Al contempo, l’indagine patrimoniale ha permesso di ricostruire le complesse manovre elusive ed i meccanismi di mimetizzazione dell’effettiva titolarità di beni immobili, societari e finanziari, nella fittizia titolarità sia di prossimi congiunti che di terzi intestatari dell’imprenditore, ma di fatto nella sua disponibilità. Su queste basi, con il provvedimento in esecuzione, la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria – allo stato del procedimento ed impregiudicata ogni diversa successiva valutazione nel merito – ha disposto l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro dell’illecito patrimonio riconducibile all’imprenditore, costituito, nello specifico, dall’intero compendio aziendale di 1 ditta individuale e 2 società operanti nel settore edile, 10 immobili, di cui 3 terreni e 7 fabbricati ubicati nelle province di Reggio Calabria, Ancona e Pesaro Urbino, oltre a rapporti bancari, finanziari, assicurativi e relative disponibilità, per un valore complessivamente stimato in circa 5 milioni di euro. L’attività di servizio in rassegna testimonia, ancora una volta, l’elevata attenzione della Guardia di Finanza che – nel solco delle puntuali indicazioni dell’autorità giudiziaria reggina e in collaborazione con la Polizia di Stato per la sola parte riguardante l’attività tecnica già condotta durante le investigazioni – continua a essere rivolta all’individuazione e alla conseguente aggressione dei patrimoni e delle disponibilità finanziarie illecitamente accumulati dalle consorterie criminali di stampo mafioso, allo scopo di arginare l’inquinamento del mercato e favorire la libera concorrenza, con l’intento di ripristinare adeguati livelli di legalità e tutelare la sana imprenditoria assicurando la trasparenza e la sicurezza pubblica

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