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Cardiochirurgia a Reggio, Fratto: «Abbiamo operato quasi 2.500 pazienti dal 2016»

Le priorità del primario: «Ci piacerebbe, magari, avere letti, infermieri e anestesisti in più e ridurre l’emigrazione sanitaria»

Pubblicato il: 13/09/2024 – 6:58
di Emiliano Morrone
Cardiochirurgia a Reggio, Fratto: «Abbiamo operato quasi 2.500 pazienti dal 2016»

Si chiude con il parere di Pasquale Fratto, primario della Chirurgia pubblica reggina, il dibattito della nostra testata giornalistica sulla possibilità di rilanciare la sanità pubblica delle aree montane calabresi sfruttando il potere rigenerativo di natura e cultura e investendo in nuovi servizi; magari realizzando, all’interno di un ospedale di montagna, una struttura riabilitativa per pazienti cardiochirurgici oppure una Chirurgia generale.
Sul tema proposto, avevamo sentito un regista, Giancarlo Cauteruccio, l’economista Francesco Aiello, professore ordinario nell’Unical, e Renato Pata, componente del Consiglio di amministrazione del Consorzio di tutela e valorizzazione olio di Calabria Igp, che ci aveva parlato dell’importanza di strutturare un’offerta sanitaria integrata, includendovi l’alimentazione con i prodotti del territorio e quindi l’impiego del cosiddetto «oro di Calabria», l’olio extravergine di oliva.
Con Fratto, cui diamo del Tu in quanto lo conosciamo da tempo e che ha lavorato per anni all’ospedale Niguarda di Milano e anche all’estero, parliamo dell’utilità, per i malati di cuore, di una Riabilitazione in aree montane della Calabria, partendo dall’attività che il suo reparto svolge da otto anni.
Ci introduciamo nell’argomento chiedendo al nostro interlocutore come sta andando la Cardiochirurgia dell’ospedale pubblico di Reggio Calabria.

Ascolta il podcast

«Procede regolarmente. Operiamo nelle 24 ore giornaliere tutti i giorni, sia in elezione – chiarisce Fratto – che in emergenza urgenza. L’estate non è un periodo di riposo, nel senso che aumentano molto le urgenze e le emergenze per via dell’aumento della popolazione, legata al turismo. Quindi, attività piena, continua, per tutto il territorio regionale».

Poi i pazienti cardiochirurgici spesso fanno percorsi riabilitativi. Quelli operati in Calabria hanno delle strutture per effettuare la riabilitazione?

«Sì. Tutti i pazienti, dopo un intervento al cuore o anche dopo un’angioplastica, hanno un periodo riabilitativo di circa 2 o 3 settimane che viene fatto in alcuni centri specializzati che hanno letti. Quindi, viene fatto più con il regime di ricovero piuttosto che ambulatoriale e in Calabria ci sono, per ciascuna provincia, vari centri di riabilitazione. Quindi, sotto questo punto di vista, la regione è coperta per ciascuna provincia, diciamo da Cosenza fino a Reggio Calabria. Si tratta di centri in grado di gestire il paziente cardiochirurgico nell’immediato postoperatorio».

Quanto è importante questo percorso per il paziente cardiochirurgico?

«È molto, molto importante. Ormai da decenni è riconosciuta la riabilitazione come un processo, un percorso terapeutico per il paziente cardiochirurgico; anche perché il paziente, dopo l’intervento stesso, ha bisogno di camminare, di respirare, e quindi viene messo in piedi già in terza o in quinta giornata postoperatoria. Quindi, inizia la riabilitazione in ospedale, poi la prosegue nell’immediato postoperatorio in questi centri dove aumentano la mobilizzazione e nello stesso tempo vanno incontro a controlli mirati; quindi, diagnostica e riabilitazione insieme. Allora, è un periodo molto, molto importante».

Si dice spesso che nella montagna calabrese, segnatamente nell’altopiano silano, c’è l’aria più pulita d’Europa. Potrebbe essere una buona idea, ove fattibile, realizzare una riabilitazione per i pazienti cardiochirurgici in aree di montagna della Calabria?

«Certo che sì, nel senso che già molti centri di riabilitazione, in Italia, sono in aree di montagna o perlomeno fuori dalla città; mettiamola così, in campagna o addirittura in montagna. Mi viene in mente San Pellegrino Terme, Arco di Trento e vari altri che sono nel nord Italia. In Calabria la maggior parte sono nelle città. Però, il ruolo che la campagna, la natura ha nella riabilitazione è ormai ben riconosciuto. Quindi, qualora fosse necessario avere un altro centro di riabilitativo, sarebbe auspicabile che questo fosse in un ambiente naturale circondato da alberi; la montagna potrebbe essere il luogo ideale per fare riabilitazione».

Alla quarta puntata, il nostro dibattito è partito da uno studio sul potere terapeutico del bosco, pubblicato dal Consiglio nazionale delle ricerche. Quanto può giovare il bosco, la montagna, il fresco, l’aria pura eccetera al paziente cardiochirurgico? Che cosa dice la scienza a questo proposito?

«Il link tra la natura e il benessere cardiovascolare è ormai un dato di fatto, nel senso che la letteratura scientifica a sostegno di questa tesi è decennale. C’è tanta ricerca sul legame tra benessere generale, non solo cardiovascolare, e natura. Oggi sia sotto l’aspetto non solo cardiovascolare, ma addirittura anche quello psichiatrico, legato alla depressione, al nutrizionale, è un dato di fatto che la natura ha un effetto estremamente positivo sui risultati a lungo termine. Poi, se vogliamo, ci sono aree ancora tematiche più specifiche, se si pensa alla pet-terapia oppure all’ippoterapia. Per esempio, l’ospedale Niguarda ha un’area, all’interno dell’ospedale stesso, con i cavalli, che riproduce uno scenario come fosse campagna. E il Niguarda fa un’attività ormai trentennale su pazienti psichiatrici che hanno problemi di handicap, con risultati straordinari e ben codificati. Quindi, il ruolo della natura e degli animali sulla salute è per fortuna un dato di fatto».

Noi abbiamo centrato questo dibattito, aperto, plurale, partendo per l’appunto da una constatazione sul potere terapeutico del bosco, quindi della montagna calabrese. Abbiamo aggiunto anche l’idea di, in queste aree, realizzare – attraverso i finanziamenti disponibili – attività culturali e artistiche proprio per diminuire lo stress e per proporre, ove possibile, un’offerta di salute integrata. In questo senso, abbiamo sentito anche un componente del Consorzio dell’olio Igp di Calabria, che ci ha parlato delle proprietà dell’olio extravergine di oliva di oliva: antiossidante, favorisce la digestione e soprattutto aiuta l’apparato cardiovascolare. Dal tuo punto di vista di medico, di primario, di cardiochirurgo, come vedi questa idea, qual è il tuo pensiero, la tua opinione su questa opzione che noi abbiamo suggerito, ferma restando l’autonomia dei decisori pubblici?

«La vostra idea di sviluppare questa possibilità, che poi sarebbe non solo di benessere fisico ma anche psichico, economico, è evidente. C’è un lavoro che ho letto recentemente, fatto negli Stati Uniti, dove ormai più del 60 per cento della popolazione americana ha lasciato la campagna, o perlomeno vive in città, e il 90 per cento della propria giornata la vive all’interno di casa, ufficio e macchina. Quindi, l’esposizione all’aria aperta dà degli effetti; è evidente il fatto di stare lontano dalla luce solare, di stare con luce che non è naturale, di vivere al di fuori di spazi naturali. Poi l’aspetto che viene a realizzarsi è quello della necessità di tornare verso la campagna. Quindi, se riuscissimo a sviluppare l’idea di associare natura, percorsi di conoscenza delle nostre aree – magari in ambiti patologici come possono essere le malattie pediatriche o quelle cardiovascolari – potrebbe essere un’area di sviluppo interessante che la politica o chi governa potrebbe perseguire in maniera importante».

Parliamo invece, un attimo, delle attività della cardiochirurgia pubblica di Reggio Calabria. Che cosa state facendo adesso, su che cosa state lavorando e quali risultati state ottenendo?

«Ormai siamo vicini a chiudere l’ottavo anno di attività che è iniziata ormai nel 2016, nel dicembre 2016. La cardiochirurgia di Reggio Calabria, all’interno del Gom (Grande ospedale metropolitano, nda), è una struttura pubblica che si occupa di tutta la cardiochirurgia dell’adulto, quindi dalla patologia delle coronarie, soprattutto le valvole. Sulle valvole, per esempio, c’è una grossa attività di chirurgia mininvasiva, cioè senza aprire lo sterno ma con piccole incisioni sul torace, o addirittura il trattamento con i cateteri. L’attività continua in maniera regolare, sia sull’elezione che sull’emergenza/urgenza per casi urgenti che vanno trattati. Ci occupiamo di tutta la cardiochirurgia dell’adulto, con particolare interesse, per esempio, per la chirurgia dell’aorta. Siamo forse l’unico centro, in Calabria, che si occupa di chirurgia dell’aorta a 360 gradi; anche con l’attività complementare dell’unità di Chirurgia vascolare, presente sempre all’interno del nostro ospedale. Ormai l’attività è consolidata e facciamo chirurgia moderna con numeri che adesso diventano sempre più importanti. Abbiamo operato quasi 2.500 pazienti dall’inizio dell’attività. Ci piacerebbe, magari, avere qualche letto in più, qualche infermiere in più, qualche anestesista in più, cioè del personale sanitario che ci potrebbe fare aumentare l’attività per ridurre sempre di più l’emigrazione sanitaria».

Un dato, 2.500 pazienti a quanto corrisponde in termini di risorse pubbliche rimaste in Calabria?

«Più o meno, noi parliamo di circa sei milioni di euro all’anno che la Regione Calabria evita di pagare ad altre regioni».

Quindi sono circa 50 milioni, facendo un po’ di conto?

«Più o meno, perché la regione riconosce a paziente cardiochirurgico un Drg molto alto. Quando vanno fuori Regione, i pazienti costano in media un 20-30 per cento in più, perché alle Regioni che lo ricevono viene riconosciuto quasi un premio. Se un intervento costa 10 euro in Calabria, in Lombardia e nel Veneto, alla Regione Calabria costa 13 euro, 14 euro, per intenderci».

In più ci sono da calcolare i costi sociali per le famiglie che si spostano.

«Esclusi, evidentemente, i costi personali».

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