Inni nazionali e diretta televisiva. Anche il ministro albanese dell`Economia, del Commercio e dell`Energia, Dritan Prifti, si è scomodato per tagliare il nastro della sede di un call center. Appuntamento nelle vicinanze di un centro commerciale alla periferia di Tirana, una palazzina anonima di due piani. L`occasione, però, è di quelle importanti. Al fianco dell`esponente di governo c`è il fior fiore della politica e dell`economia albanese. Le agenzie di stampa riportano le entusiastiche parole del ministro: «La presenza in Albania di questo gruppo servirà da esempio anche agli altri operatori economici italiani perché vedano in questo Paese una buona possibilità per i loro investimenti futuri». Una cerimonia con tutti gli onori per dare il benvenuto a un imprenditore italiano, anzi calabrese.
In Albania si chiama Albacall, ma in Italia è conosciuto come gruppo Abramo, una realtà da tremila dipendenti e 120 milioni di euro di giro d`affari, messi a bilancio nel 2009. Solo pochi mesi fa l`azienda ha ottenuto un cospicuo contributo pubblico, 500 borse lavoro, su 988 domande ammesse, cioè il 50,6% del totale, per un importo di 4 milioni di euro. A guidare la holding è Sergio Abramo, ex sindaco di Catanzaro ed ex consigliere regionale, ma anche presidente nazionale di “Assocontact”, l`associazione di categoria che riunisce tutti i proprietari di call center. L`Abramo Customer Care è un colosso, in Calabria ha tre sedi, 1500 postazioni e appalti con Tim, Enel, Vodafone. L`azienda catanzarese ha superato i cento anni di attività nel settore della stampa. All`inizio degli anni 90 la svolta: il gruppo ha deciso di diversificare le sue attività, offrendo anche logistica integrata e servizi online, distribuzione della corrispondenza, servizi di gestione ottica documentale, multimediali e soprattutto call center. Il settore dei “centri chiamate” in quel periodo è in piena espansione, un affare su cui molti puntano. Dopo anni di vacche grasse il sistema inizia a vacillare. Nei call center sono entrati i sindacati e con loro anche contratti a tempo indeterminato e diritti. Insomma il costo del lavoro è aumentato e i ricavi diminuiscono. I proprietari dei call center si interrogano per trovare una soluzione. All`orizzonte c`è l`ipotesi di uscire dal contratto nazionale delle telecomunicazioni e creare un nuovo contratto unico per i call center che preveda un fisso più basso e maggiori premi di produttività. In pratica più telefonate fai più guadagni, se resti a casa invece in busta paga ti trovi solo pochi spiccioli. Un traguardo, però, a lungo termine. Nell`immediato servono altre soluzioni. La più facile è delocalizzare, ossia portare l`azienda in un Paese dove il costo del lavoro è più basso. Le aziende che acquistano il servizio risparmiano, i proprietari del call center pure. Tutti contenti, o quasi. E così ha fatto Abramo scegliendo l`Albania per il suo “dumping”. Una parola inglese che significa letteralmente “vendere sottocosto”, consiste nell`esportare all`estero prodotti a costi bassissimi grazie a politiche di sostegno statali e politiche di produzione che non tengono conto della tutela ambientale né della tutela della manodopera. Un lavoratore sull`altra sponda dell`Adriatico costa molto meno rispetto ai colleghi del Belpaese, in molti parlano l`italiano e il governo è pronto ad accogliere investimenti senza fare troppi controlli. E così da tempo giovani calabresi sbarcano all`aeroporto di Tirana per formare i loro nuovi colleghi. Circa 600 gli assunti per una struttura con duecento postazioni. Meno di due euro all`ora la paga per gli operatori. Già da alcuni mesi sono loro a gestire il servizio di Tim che da anni ha scelto l`Abramo come partner. E adesso anche al numero 190 della Vodafone rispondono i ragazzi albanesi. Ma qualcuno rischia di rovinare la festa. La Cgil infatti ha presentato un esposto al garante della privacy. La Commissione europea ha inserito l’Albania in una black list di Stati che non garantiscono un adeguato livello di protezione e tutela dei dati personali. L`allarme è su una possibile crescita del mercato nero delle informazioni. Basti pensare che molto spesso durante le telefonate con un operatore il cittadino fornisce dati sensibili come il codice fiscale, la partita Iva, il codice Iban, il numero della carta di credito. Numeri che potrebbero finire nelle mani sbagliate e utilizzati per pubblicità o nella peggiore delle ipotesi per truffe. La tensione intorno al gruppo Abramo inizia a salire. Per la segreteria nazionale di Slc-Cgil «non è più tollerabile che l’azienda che esprime il presidente di Assocontact non abbia uno straccio di accordo sulle relazioni industriali, non abbia un contratto collettivo aziendale di secondo livello, e ad anzi – al di là delle belle parole nei convegni – sia proprio questa azienda tra le prime a favorire una politica di delocalizzazione verso l’Albania di importanti commesse italiane. Una politica che alimenta dumping e concorrenza sleale, con la complicità del principale committente, Telecom Italia».
Ma i sindacati sono riusciti a portare lo “scontro” tra le mura della casa madre a Settingiano. Decine di lavoratori si sono rivolti alla Cgil per denunciare presunti abusi e vessazioni. La sigla sindacale dopo essersi riunita a Lamezia Terme e aver «preso atto degli innumerevoli abusi perpetrati ripetutamente ai danni delle lavoratrici e dei lavoratori dell`Abramo Customer Care ha deciso all`unanimità di attivare tutte le iniziative sindacali e di legge necessarie a ristabilire un corretto rapporto relazionale tra datore di lavoro e lavoratori». In pratica, secondo la denuncia dei dipendenti, nel gruppo Abramo si registrerebbe uno straordinario aumento delle multe ai dipendenti. Stando ai dati delle organizzazioni sindacali, sarebbero circa cinquecento i contenziosi a trimestre e quasi trecento le sospensioni al mese. Sempre secondo le segnalazioni dei lavoratori, non sarebbero rispettati i diritti sanciti dalla legge 104 e i pagamenti dei festivi. Ma accade qualcosa di ancor più strano. Mentre il sindacato attacca l`azienda, un gruppo di lavoratori (350 firme) invia una lettera ai media locali per «difendere il nostro amministratore delegato». Una situazione paradossale se non fossimo in Calabria, dove la fame di lavoro è tanta e la disoccupazione è un limbo da cui diventa difficile uscire. Oppure basta scioperare per finire in mezzo a una strada. È quanto accaduto a Crotone nell`aprile scorso. Ad un anno esatto dal provvedimento aziendale che li destinava in servizio presso il sito di Montalto Uffugo di Cosenza (10 maggio 2010), l`Abramo customer care ha deciso di licenziare 30 dei suoi dipendenti legati all`appalto di H3G Italia, a causa dello sciopero ad oltranza che durava ormai dalla metà di luglio 2010. Come previsto dalla legge vi era stato un confronto tra lavoratori e rappresentanti dell`azienda. In quell`occasione i dipendenti avevano spiegato le ragioni della loro lunga protesta: nessun criterio di scelta comunicato per l`individuazione dei trasferimenti, impossibilità a sostenerli per ragioni economiche e di distanza chilometrica, presenza di lavoro extra presso il sito di Crotone. Alla fine di quell`incontro si respirava un certo ottimismo. E invece la doccia fredda. Proprio sull`esito di quelle audizioni l`azienda ha fatto leva per ritenere le giustificazioni addotte dai lavoratori «non idonee – è scritto nel provvedimento – ad evitare la sanzione disciplinare».
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