«Nessuno tocchi il modello Reggio». Non aveva la camicia nera, non sta bene indossarla di questi tempi, ma il governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, ha voluto ugualmente ricordare il ventesimo anniversario della morte del senatore Ciccio Franco, il capo dei Boia Chi Molla, il leader della rivolta di Reggio del 1970. Praticamente il maestro politico al quale il giovane rappresentante di Berlusconi in terra calabra si è sempre ispirato per dare corpo e idee al suo personale “modello” politico. Si tratta di un misto di intolleranza fascista e gestione selvaggia del potere, rigida selezione della squadra e delle amicizie politiche, e uso spregiudicato della spesa pubblica per finanziare il culto della personalità e il suo sistema di potere e di clientele. Oggi il governatore è in un mare di guai: i suoi uomini vengono toccati da pesantissime inchieste giudiziarie, Santi Zappalà, consigliere regionale e suo grande elettore è in galera perché andava a bussare ad un boss della famiglia Pelle di San Luca alla ricerca di voti, la gestione del Commissariato ai rifiuti ha scatenato un’altra inchiesta giudiziaria che ha già fatto finire nei guai l’assessore regionale all’Ambiente Francesco Pugliano, ma la grana più grossa si annida nelle carte dei bilanci del Comune di Reggio Calabria. 170 milioni di euro di buco, la città sull’orlo del baratro. C’è una relazione del ministero delle Finanze, un`inchiesta della Procura della Repubblica e proprio oggi (17 novembre) il governatore Scopelliti si sarebbe dovuto presentare davanti ai magistrati per cercare di smontare l’accusa di falso in atto pubblico. Non lo ha fatto, come un Berlusconi qualsiasi, ha invocato il legittimo impedimento per impegni istituzionali. È nei guai Peppe Scopelliti, eppure ha ancora la forza e il tempo di attaccare il sottoscritto, Guido Ruotolo, inviato de La Stampa, e Roberto Galullo, inviato del Sole24 Ore e animatore di un blog che spesso si occupa di Calabria, mafia e potere. «Nessuno tocchi il modello Reggio», tuona vicino al monumento di Ciccio Franco, del quale ricorda le parole dure come la pietra e pesanti come il manganello del mazziere fascista: «State zitti, voi siete i traditori di questa città». Poi il governatore parla di sé e del suo “modello”. «Noi abbiamo lavorato con amore e impegno… purtroppo alcuni personaggi pensano di costruire le loro fortune personali sulle disgrazie altrui. Il problema è che trovano anche giornalisti cialtroni come Ruotolo, Fierro e anche Galullo che fanno parte della cricca».
Come è nervoso Scopelliti, vede fantasmi, straparla. Io, Ruotolo e Galullo (tre persone diverse, tre giornali con editori e linee editoriali distanti) saremmo una cricca. Ridicolo. E poi cialtroni, detto da chi ha dissestato le finanze di una città spendendo i soldi dei contribuenti per portare in riva allo Stretto starlette e radio private, rischia di essere un complimento.
Cialtroni, detto da chi frequentava massoni (il signor Rappoccio) e tramite loro invocava l’interessamento di personaggi come Lele Mora per improbabili e pacchiane iniziative culturali in città. Cialtroni, detto da chi riceveva in comodato d’uso gratuito la sede del suo comitato elettorale (prime elezioni comunali, sede offerta da Gioacchino Campolo, il “re dei videopoker”). Cialtroni, detto da chi, a sua insaputa, come nelle migliori tradizioni berlusconiane, festeggiava i cinquant’anni di matrimonio dei genitori di un imprenditore (Barbieri) fortemente sospettato di legami con la ‘ndrangheta. A quel festino c’erano anche latitanti di importanti famiglie di mafia, basta rileggere le informative del Ros dei carabinieri che hanno dato origine all’inchiesta Meta. Cialtroni, detto dai chi viene nominato da almeno cinque pentiti di mafia. L’ultimo in ordine di tempo è stato Roberto Moio, famiglia Tegano, autore di una lucidissima analisi: «La ‘ndrangheta è la politica e la politica è la ‘ndrangheta». «Abbiamo sempre votato per il sindaco Scopelliti». Nino Lo Giudice il 7 dicembre 2010: «Gli abbiamo dato i voti io e la mia famiglia». Giovanbattista Fragapane, ex killer dei De Stefano pentito dal 2004: «Alle elezioni sentivo sempre il nome di Scopelliti». Nino Fiume, imparentato con i De Stefano e collaboratore di giustizia: «Ero amico del sindaco, lo conosco da quando l’ho appoggiato politicamente». Paolo Iannò, ex braccio destro del “Supremo” Pasquale Condello: «In relazione a Giuseppe Scopelliti si diceva che era appoggiato dalla ‘ndrangheta già da quando ero latitante». Per carità si tratta delle parole di ex mafiosi, pronunciate in tempi, luoghi e circostanze processuali diverse, che Scopelliti ha sempre rigettato con sdegno, ma bastano da sole a non sentirsi offesi quando si viene definiti cialtroni.
In conclusione sui giornalisti e la Calabria. Per quanto mi riguarda frequento la terra del governatore Scopelliti dal lontano 1972, venni per la prima volta con un treno organizzato dalla Cgil dopo i moti di Reggio, Scopelliti oggi si ispira alle idee di Ciccio Franco, io ero con i sindacati e la democrazia. E c’era anche l’altro “cialtrone”, Guido Ruotolo. Da allora sono venuto mille altre volte a scrivere di Calabria e calabresi e continuerò a farlo fino a quando avrò un giornale, un sito internet, un blog, un foglio di carta straccia a disposizione. È bene che il signor governatore se ne faccia una ragione: la democrazia è fatta di giornali osannanti e di giornali che scrivono quello che vedono. Il manganello, le allusioni, almeno col sottoscritto, servono a poco. Si rassegni!
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