Ultimo aggiornamento alle 7:06
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 9 minuti
Cambia colore:
 

Il “grande elettore”

Il numero ufficiale è quattro. Ma non è escluso che, presto, si arrivi addirittura a cinque. Tanti sono i collaboratori di giustizia che, negli ultimi sette anni, hanno fatto il nome del governator…

Pubblicato il: 02/07/2011 – 17:36
Il “grande elettore”

Il numero ufficiale è quattro. Ma non è escluso che, presto, si arrivi addirittura a cinque. Tanti sono i collaboratori di giustizia che, negli ultimi sette anni, hanno fatto il nome del governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti. L’ultimo, in ordine di tempo, è il pentito Nino Lo Giudice detto il
“Nano”, salito agli onori della cronaca dopo essersi autoaccusato delle bombe piazzate alla Procura generale e davanti al portone dell’abitazione del capo dell’ufficio requirente di piazza Castello, Salvatore Di Landro. Una strategia nella quale, stando alle dichiarazioni del collaboratore, rientrerebbe anche il bazooka “regalo” per il procuratore della Repubblica, Giuseppe Pignatone.
Ma Lo Giudice è anche il pentito che ha lanciato accuse contro il procuratore aggiunto della Dna Alberto Cisterna. Accuse che, stando alla versione di un altro collaboratore, il cosentino Antonio Di Dieco, rientrano in un progetto di delegittimazione attraverso cui la ’ndrangheta vuole colpire i magistrati che, in riva allo Stretto, hanno messo la loro firma su delicatissime inchieste degli anni Novanta. Una su tutte l’indagine “Olimpia” che ha decapitato le cosche del mandamento reggino con decine e decine di ergastoli inflitti a boss e killer della seconda guerra di mafia.
Una vendetta che ha il sapore del fango, quindi, e che potrebbe minare la credibilità di un collaboratore già di per sé poco attendibile. Troppe le domande senza risposta che ruotano, ancora, attorno a quella che è stata definita una “strategia della tensione” e che, adesso, potrebbe rivelarsi il “dispettuccio” di un boss (sulla carta) che non ha gradito l’arresto del fratello.
Una premessa, questa, obbligatoria prima di riportare le recenti e inedite dichiarazioni di Lo Giudice sull’ex sindaco di Reggio Calabria. Lo stesso filone di dichiarazioni che, in altri contesti e per tutt’altri argomenti, ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati del numero 2 della Dna. «Un atto dovuto», si disse in quest’ultima circostanza, che, casualmente, è stato dato in pasto alla stampa con la velocità della luce, così come la notizia che Cisterna sarebbe stato interrogato nel giro di poche ore. Non ha avuto la stessa sorte questo verbale redatto il 7 dicembre dello scorso anno.

Il verbale
Da venticinque minuti sono passate le 12 nel carcere di Rebibbia a Roma. Davanti a Nino Lo Giudice c’è il procuratore Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Michele Prestipino e il capo della squadra mobile Renato Cortese.
Parla di omicidi il pentito, di estorsioni e di bombe che il suo gruppo avrebbe piazzato in alcuni esercizi commerciali della città. Ma parla anche di politica. Fa i nomi. È Pignatone che apre l’argomento chiedendo a Lo Giudice di spiegare il contenuto di alcuni precedenti verbali, ancora secretati, dei quali non erano molto chiari alcuni passaggi.
In sostanza il “Nano” fa riferimento a un tale Romeo, collaboratore dell’ex sindaco, dal quale era partita una richiesta di voti per Scopelliti.
Pignatone rinfresca la memoria a Lo Giudice: Romeo, «dice lei, è sempre nella sede del Comune a Piazza Italia, mandò Stillitano Antonio … no, poi dice Giovanni Stillitano, per raccogliere voti per conto del sindaco che, aspetti, il candidato era Scopelliti giusto? Lei ha detto: “Guardi io parlo con i miei parenti, vediamo cosa si può fare e in effetti abbiamo votato”… Io le ho chiesto: “Avete avuto in cambio promesse poi mantenute?” e lei ha detto: “Guardi che io non ho chiesto niente, i miei parenti qualcosa hanno ottenuto”».
Ma andiamo con ordine. Tasto rewind, il collaboratore riporta indietro il nastro e ripete tutto: «È stato Giovanni Stillitano, ex fotografo di Tre Mulini (quartiere di Reggio, ndr), che aveva un negozio fotografico a chiamare a me a dire: “Vedi che c’è Romeo che, diciamo… un collaboratore del sindaco, che sta chiedendo dei voti, sei disponibile?”. “Non c’è problema Giovanni”. Poi in un secondo momento gli ho detto io: “Giovanni io non posso fare niente, però posso chiamare i miei cugini di Ravagnese, altri Lo Giudice, per vedere se possiamo chiedere un po’ di voti”, e poi in un secondo momento gli abbiamo dato i voti io, dice, la mia famiglia e questi cugini qua, loro hanno ottenuto qualcosa che io non mi ricordo però che cosa e io non ho chiesto niente, Procuratore, perché non avevo bisogno niente e poi ho cercato a aiutare a Scopelliti».
La ’ndrangheta vota e fa votare. Dopo averlo sostenuto personalmente, quindi, Lo Giudice si sarebbe premurato di mettere in contatto i “galoppini” dell’ex sindaco con i cugini («li ho fatti incontrare pure»). Il racconto del boss pentito va anche oltre. Ed è sempre il procuratore Pignatone a pretendere da lui chiarimenti ulteriori sui rapporti tra la ’ndrangheta e la politica: «Lei aveva detto che per le elezioni che non sa precisare quali si presentò Domenico Condello… per raccogliere i voti a favore di un tale Flesca…».
Condello, a detta di Lo Giudice, sarebbe il nipote del boss, conosciuto con il soprannome di “Mastino”, mentre Flesca non l’avrebbe mai incontrato direttamente.
A proposito dei Condello, il collaboratore di giustizia parla di un altro politico che sarebbe vicino alla famiglia di Archi: «Anche i bambini lo sapevano, procuratore, che Sarra era aiutato dai Condello».
E ancora: «Nel periodo delle elezioni di Alberto Sarra… Condello Domenico, il “Mastino”, venne a chiedere se era possibile dare dei voti a questo Sarra Alberto in quanto era una co… una… cioè una cosa, un’ambasciata (un messaggio, ndr) mandata da Pasquale Condello, cosa che non fu fatta».
Facendo riferimento all’attuale sottosegretario della Regione Calabria, Lo Giudice aggiunge: «Lui aveva la sede, una sede vicino a Tre Mulini precisamente dove c’è la posta, dove c’è il bar Onda d’Oro dalla parte di sotto, lui aveva una sede di cui andavano tutte persone che conoscevano a me, conoscevano a mio cognato (Bruno Stilo, ndr) e ne parlavano, ne parlavano nel bar… E ne parlavano che stavano aiutando a Sarra per conto dei Condello».
«Perché (Domenico Condello, ndr) lo doveva aiutare – conclude il pentito – non lo so, però posso immaginare opinione mia che ne approfittava un domani per avere, diciamo, qualcosa di positivo».
È un fiume in piena Nino il “Nano”. Ha ricordi frammentati e, dopo aver gettato ombre a destra, non risparmia neanche la sinistra: «Poi c’è un’altra, un’altra cosa Tripodi Michelangelo, se sbaglio non faccio, questo qui abita dove c’è il bar di Ficara Domenico sopra il … sotto il caffè Mauro ex caffè Mauro più avanti sulla destra dovrebbe abitare questo Tripodi Michelangelo in quanto Canzonieri, Monorchio Tonino trovandosi, trovandoci per caso sul … dove c’ha il bar mio cognato, Bruno Stilo, si sono fermati e mi hanno detto che stavano, stavano sostenendo a questo Michelangelo Tripodi per portarsi alle elezioni… Mi chiese se era possibile dare un po’ di voti a questo Michelangelo Tripodi». Richiesta che Lo Giudice sostiene di non aver esaudito.

Gli altri tre pentiti
Il primo “mafioso”, in ordine di tempo, a parlare di Scopelliti era stato il collaboratore di giustizia Giovanbattista Fracapane, ex killer dei De Stefano, la prima linea del gruppo di fuoco del potente casato. Un uomo di ghiaccio che, nella precedente vita, si è macchiato di crimini orribili. Omicidi su omicidi che il destefaniano ha eseguito durante la seconda guerra di mafia, e anche oltre. È il 7 luglio 2004 quando, a Rebibbia, riceve la visita dei sostituti procuratori della Dda Santi Cutroneo (oggi pm a Vibo Valentia) e Mario Andrigo (da poco trasferitosi a Vigevano) e dei vicequestori aggiunti Renato Panvino e Luigi Silipo.
A loro, Fracapane aveva raccontato molti delitti commessi su mandato di Orazio De Stefano. Ma ha parlato pure di politica e delle amicizie di cui gli arcoti godevano nei palazzi buoni della città. Parte da lontano il
pentito. Inizia a descrivere le velleità politiche della sua cosca negli anni Novanta: «Mi ricordo che alle votazioni sapevo sempre che loro, al De Stefano gli interessava sempre che se ne andava Falcomatà… Perché lui (De Stefano, ndr) magari con la destra aveva una sua amicizia no, che sicuramente qualche lavoro lo prendeva, col pizzo l’ha preso…Sentivo sempre il nome di Caridi….il nome di Scopelliti…».
La “simpatia” politica per il centrodestra e per Alleanza nazionale, nel marzo 2009 era stata confermata da Nino Fiume, un tempo fidanzato con la sorella del boss Giuseppe De Stefano. A differenza di Fracapane, Fiume era uno di “famiglia”. Non era solo un killer, ma un soldato della ’ndrangheta che aveva il “privilegio” di ascoltare i discorsi fatti dalle teste pensanti della cosca. Sentito nel processo “Testamento”, il collaboratore aveva parlato dell’ex consigliere comunale di An, Massimo Labate, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e assolto dai giudici di primo grado.
«Essendo amico di quello che oggi è il sindaco Scopelliti» è stata la frase pronunciata in aula dal pentito Fiume che, meno di un anno prima, il 29 luglio 2008, ai pm Domenico Galletta, Giuseppe Lombardo e Beatrice Ronchi aveva dichiarato: «Conosco Giuseppe Scopelliti, in quanto ho appoggiato politicamente lo stesso».
Concetto, questo, ribadito di recente anche dal collaboratore di giustizia Paolo Iannò, ex killer dei Condello. Mancano pochi minuti alle 16 del 21 settembre 2010 quando l’ex braccio destro del “Supremo” si trova a Roma negli uffici della Direzione nazionale antimafia. Dopo aver tracciato un profilo di Gioacchino Campolo, il “re dei videopoker” condannato per reati di mafia, Iannò fa i nomi di politici: dagli ex parlamentari Paolo Romeo e Amedeo Matacena, passando per l’ex sottosegretario Giuseppe Valentino e l’ex presidente della Provincia Pietro Fuda. Sull’attuale governatore, Iannò confida al pm Lombardo che, «in relazione a Giuseppe Scopelliti, si diceva che era appoggiato dalla ’ndrangheta: ciò si diceva già da quando io ero latitante».
Fracapane, Fiume, Iannò e oggi anche Lo Giudice. Sono quattro, per ora, i collaboratori di giustizia che tirano in ballo il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti. Quattro collaboratori ritenuti credibili dalla Dda reggina che, con i loro verbali in pugno, è riuscita a chiudere numerose inchieste antimafia e a spalancare le porte del carcere a centinaia di soggetti affiliati alle cosche.

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x