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Fontamara vibonese

La schiuma dell`Alaco ha un colore strano. Tutti i dubbi che accompagnano la storia di questa diga sono riassunti – e bene – da una sola domanda: «Berreste l`acqua che arriva da qui?». La schiuma d…

Pubblicato il: 29/07/2011 – 16:47
Fontamara vibonese

La schiuma dell`Alaco ha un colore strano. Tutti i dubbi che accompagnano la storia di questa diga sono riassunti – e bene – da una sola domanda: «Berreste l`acqua che arriva da qui?». La schiuma dell`Alaco è marrone. Avrà pure ragione chi esorta a berla, quell`acqua, ma l`esercizio richiede una certa dose di coraggio. Specie dopo aver dato un`occhiata alle analisi chieste da chi, con quest`acqua, convive da anni e cerca di venire a capo della questione della potabilità. I test, realizzati “in proprio” hanno dato un responso chiarissimo: le quantità di ferro e manganese sono molto al di sopra della norma, così come la torbidità del campione analizzato. Questo non significa che l`acqua non possa essere trattata, ma lascia pensare che, per abbattere gli elementi in eccesso, si utilizzi una grossa quantità di cloro. Così le caratteristiche restano nel perimetro dei parametri accettabili. Ma il sapore, be`, lasciamo stare.

COME NASCE IL CASO
L`impianto di potabilizzazione che serve la diga ha iniziato a trattare l`acqua invasata nel 2006 e, fino al mese di agosto del 2010 mai era stata emanata alcuna ordinanza di non potabilità. La prima risale proprio a quell`epoca, e fissa la data di inizio di un`emergenza pressoché continua, che si è protratta fino ad aprile 2011. Cosa è successo allora? Facciamo un passo indietro e vediamo qual è l`ipotesi più probabile. Il potabilizzatore dell`Alaco è in funzione da oltre 25 anni. Fino all`entrata in esercizio dell`invaso, ha trattato piccole quantità di acqua superficiale. Poca cosa, rispetto ai carichi che ha dovuto sopportare da quattro anni a questa parte. Nel 2006 cambia tutto. C`è da rendere potabile l`acqua che arriva dalla diga. È allora che entra in gioco la Sorical. La società mista ha un obiettivo virtuoso: quello di inviare più acqua ai Comuni. Il modo in cui lo raggiunge, però, lascia perplessi i tecnici. Le procedure basilari da seguire per preparare l`acqua al trattamento vengono adottate, ma in maniera troppo rapida, approssimativa. Il risultato? Il liquido che arriva dall`invaso ha caratteristiche chimico-fisiche molto variabili. È di qualità scadente, al limite della possibilità di trattamento. Inoltre contiene una quantità elevatissima di manganese e ferro oltre a sostanze dovute alla decomposizione delle piante sommerse e un forte inquinamento batteriologico, dovuto a escrementi animali.
Nonostante tutto, si decide di continuare con la potabilizzazione, senza neppure installare due analizzatori in continuo del ferro e del manganese. I tecnici, però, riescono a sopperire con il lavoro questo deficit di preparazione. È grazie alla loro opera se l`impianto funziona per anni, trattando circa 200 litri al secondo, senza significativi problemi. Almeno fino al 10 agosto 2010. Poi, la direzione della Sorical decide di cambiare l`organigramma del settore potabilizzazione. E con gli spostamenti cominciano i guai. Il primo problema nasce da un errore di manovra, che porta all`immissione nella vasca dell`acqua potabile di 3mila litri di ipoclorito di sodio, un disinfettante che aumenta le caratteristiche acide dell`acqua. Per l`Alaco è solo l`inizio del periodo nero. Le cose peggiorano, infatti, nei giorni successivi, quando si decide di aumentare la portata da 200 a 320 litri al secondo, pur sapendo che per l`impianto potrebbe essere troppo. Le conseguenze sono disastrose. Parte del liquido “salta” una fase di filtrazione, i dosaggi dei reagenti (che devono “abbattere” le sostanze inquinanti) sono sbagliati: in rete finisce troppo permanganato di potassio. A parte i tecnicismi, il risultato è evidente: l`acqua emana cattivo odore e diventa arancione. È il panico: dai rubinetti esce un liquido giallo, la Protezione civile interviene con le autobotti, gli altoparlanti avvisano i cittadini. Più o meno come in guerra, solo che non si può neanche bere. Intanto va in scena il balletto delle responsabilità tra Sorical e Comune. La colpa è di tutti, così nessuno ha colpa. E invece sembra chiaro che l`impianto sia stato spinto troppo al di là delle sue possibilità, che l`invaso è stato preparato in maniera frettolosa e che la mancanza di strumentazione per il controllo dei metalli non consente una gestione ottimale. È l`ultimo atto di un racconto che, in Calabria, abbiamo già sentito.

LA “SOLITA” STORIA
Quella dell`Alaco, infatti, è la “solita” diga calabrese. A partire dal dato economico: a fronte di una spesa prevista di 15 miliardi di lire, l`opera alla fine è costata 150 miliardi. Un “caso economico” che meritò un paragrafo nella relazione della sezione regionale della Corte dei conti, nel 2002. Un disastro progettuale (sei varianti tra il 1985 e il 1996, più nove sospensioni dei lavori) e gestionale. Con conflitti di attribuzione (degli errori) che rimbalzano tra Sorical (che dà la colpa alle condotte dei Comuni) e amministratori locali (per i quali il problema è proprio l`Alaco). Lavori travagliati, sia per la costruzione dell`invaso che per l`ampliamento dell`impianto di potabilizzazione. L`appalto, per quest`ultimo, è stato bandito nel 2006: se lo è aggiudicato la ditta Idrotecna, che avrebbe dovuto completare i lavori entro il 31 marzo 2008. Lo scopo: realizzare il progetto redatto dalla Sorical per trattare 600 litri di acqua al secondo. Più che le performance dell`impianto, fino a ora si sono visti i contenziosi, che hanno portato alla rescissione del contratto. I lavori sono stati affidati a piccole ditte e, ancora oggi, non sono stati completati. Per di più, ci sono perplessità sul funzionamento dell`impianto. Fonti accreditate, raccontano che, per almeno due anni, i fanghi non venivano disidratati e venivano prelevati allo stato liquido con autobotti e trasportati, con costi al di fuori da ogni logica. Le stesse fonti segnalano che le acque di risulta del lavaggio dei filtri e della disidratazione dei fanghi (che oggi avviene), non vengono smaltite, ma reimmesse in testa all`impianto. Il guaio è che sono acque che arrivano dal trattamento del ferro e del manganese, e finiscono per peggiorare le caratteristiche del liquido in ingresso e complicare il funzionamento di tutto il potabilizzatore. Un circolo vizioso del quale non si sentirebbe il bisogno. A queste latitudini, però, le dighe funzionano così. E costano dieci volte in più rispetto a quanto previsto. Qualcuno ci guadagna, resta ancora da capire chi.

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