Manlio Flesca non si è ricandidato alle ultime comunali. Dopo due legislature, è tra i pochissimi, se non l’unico, che ha deciso di lasciare il campo e non tentare di tornare a palazzo San Giorgio. Degli uscenti, al momento, è l’unico a ritrovarsi indagato per corruzione elettorale. Effetti collaterali: il suo ruolo nell’inchiesta Meta. Raggiunto da un mandato a comparire, ha cercato di chiarire la sua posizione ma resta il rischio che la Procura possa intervenire pesantemente nei suoi confronti. Magari paventando l’ipotesi di una reiterazione del reato. È questo il motivo della sua mancata candidatura? Di certo, la sua scelta di mettersi da parte e lasciare Palazzo San Giorgio ha ridotto di molto la possibilità di reiterare il reato (qualora questo venisse giudicato tale dalla Dda). E che sia preoccupato Flesca lo spiega la sua scelta di rispondere alle domande del pm Lombardo. Negli ultimi anni, i politici o i dirigenti rimasti impigliati in qualche indagine della Dda hanno adottato la strategia della “scena muta”. Parlare significa chiarire. E chiarire, come è emerso dall’interrogatorio di Flesca, significa anche spiegare ai giudici il sistema e i limiti che questo pone a ogni singolo componente. Un sistema in cui, seppur consigliere delegato dal sindaco in un settore importante come la manutenzione delle strade, Flesca non era titolare di «quella forza e di quel potere» che servivano per assumere la moglie dell’imprenditore indagato per mafia. Forza e potere che altri, invece, evidentemente avevano. Flesca, ovviamente, non è l’unico politico coinvolto in “Meta”.
Altri nomi di consiglieri comunali sono finiti nell’informativa del Ros, diretto all’epoca dal colonnello Valerio Giardina. E va detto che questi a ricandidarsi, a differenza di Flesca, non hanno di certo esitato.
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