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I segreti di un amore da coltivare in miniatura

«Ecco, questo è il mio compagno di vita». Giovanni Vegliandi, tornitore meccanico in pensione, è emozionato quando tiene in mano un ficus e inizia a raccontare la  passione per l’arte del bonsai. N…

Pubblicato il: 29/07/2011 – 17:28
I segreti di un amore  da coltivare in miniatura

«Ecco, questo è il mio compagno di vita». Giovanni Vegliandi, tornitore meccanico in pensione, è emozionato quando tiene in mano un ficus e inizia a raccontare la  passione per l’arte del bonsai. Nel giardino della sua abitazione, a Dipignano, in pro-vincia di Cosenza, esiste un piccolo regno rappresentato da circa 40 piantine che è possibile «guardare ma non toccare». Giovanni è appassionato e collezionista di bonsai, uno dei pochi in Calabria, e dedica le sue giornate interamente a curare le «miniature». Ha vinto premi nazionali, ha ottenuto riconoscimenti internazionali ma per lui quei rami «sono come persone», «vivono» anzi gli hanno permesso di «continuare a vivere».
Negli anni Ottanta, Giovanni era stato colpito da una malattia e un giorno ha visitato una mostra al Centro di arte bonsai di Milano, in piazza Duomo, e da quel momento «è stato un vero colpo di fulmine».
«Ho visto quelle miniature – racconta – e non riuscivo a capire come fosse possibile realizzarle. Ho deciso di acquistarne una: era un melo e costava 25-30mila lire. Da allora ho raccolto e comprato piantine, ho iniziato a curarle e coltivarle, imparando da autodidatta le tecniche dell’arte bonsai. Attualmente sto frequentando la scuola di Michele Andolfo (uno dei migliori maestri di arte bonsai) per diventare istruttori». Piccoli rami divelti o piantine ammalate che poi trasforma in «gioielli». Ma servono «molta cura, attenzione e tempo». «Ci vogliono anni, anche trenta, per creare un bonsai», spiega. «Vede – interviene la moglie che condivide con lui questa passione – questo olmetto lo abbiamo trovato sulle rotaie del tram a Milano».
Il signor Vegliandi conosce perfettamente le origini dell’arte bonsai che si sviluppa in Giappone (bonsai letteralmente significa “pianta in vaso”) e con orgoglio dice che «noi italiani siamo oggi i secondi al mondo per bravura».  Mentre ricostruisce la storia di ogni «piantina», ricorda che questa passione gli «ha salvato la vita»: «Io ero malato e i bonsai mi hanno dato la forza di tornare a vivere. Ho vissuto a Milano e a Genova per molti anni e già lì ho iniziato a coltivarli. In Liguria avevo un bel gazebo. Adesso sono tornato nella mia Calabria. Qui mi dedico totalmente alle piante e grazie a loro sono guarito. La mia giornata tipo? Mi sveglio alle 5,30 per innaffiare, poi inizio a guardare i miei gioielli uno per uno e mi prendo cura di loro. C’è chi ha bisogno di essere potato, chi defogliato. Vede – e mostra il Ficus retusa – qui ho utilizzato un po’ di filo di rame per “educare” il ramo. È lui il mio compagno di vita. Si è trattato di una scommessa: mi è stato regalato ed era brutto, aveva solo quattro rametti. Ora, dopo quasi trent’anni, è diventata una bella creatura».
Giovanni racconta che l’anno scorso ha perso due bonsai. Parla di loro come se fossero delle persone. «Per me lo sono – spiega – e non permetto a nessuno di toccarle, neanche a mia moglie. Esiste una regola: non si possono toccare i bonsai degli altri, bisogna chiedere il permesso».
Giorni fa ha raccolto tre piantine in Sila. «Questo – dice – è un pino laricio, si trova solo in Sila e in Corsica. Era in un bosco, in un pantano, ne abbiamo preso tre pezzi, erano tutti malati. Noi ci occupiamo soltanto di piante sofferenti, destinate a morire, non robuste. Ad esempio, vede quel faggio, quindici anni fa l’ho trovato in Liguria ed era stato calpestato dalle mucche».
«Quando ci siamo trasferiti dalla Liguria per tornare in Calabria – racconta la moglie – abbiamo portato i bonsai e abbiamo lasciato i mobili».
Giovanni ha una collezione di circa 40 piantine, il valore di ogni singolo esemplare va da 300 a 35mila euro.
Il suo giardino è protetto dalle telecamere. Ma lui non si separa mai dalle sue creature. «Vacanze? Ferie? Un tabù – afferma – . Non mi posso allontanare da loro: bisogna controllarli sempre, innaffiarli periodicamente, e soprattutto non mi fido di delegarne la cura a qualcuno. Se mi assento per qualche ora mi sostituisce mia moglie, noi non andiamo neanche a funghi insieme, uno dei due rimane sempre a casa. Quando ne avevo pochi li portavo dietro, adesso è più complicato». Vegliandi è forse l’unico in Calabria che non vende i bonsai, quelli della sua collezione soprattutto: «Mai venderli. È come tradire un amico. Venderebbe qualcuno che le fa compagnia? Ne ho regalati soltanto due, ma poi uno non è stato curato bene e l’ho ripreso. Io raccolgo piantine malate, le curo, inizio a lavorarle e mi innamoro. Come potrei separarmene?».
È, però, un’arte costosa. «Si usa un concime particolare: 5 chili costano 80 euro e io ne consumo quasi 10 all’anno – spiega Giovanni –. Pure la terra è particolare, tipo terracotta e per la loro cura ci sono strumenti specifici (una piccola forbice costa circa 150 euro)».
Ma amare, si sa, vuol dire anche fare qualche rinuncia: «Prima collezionavo orologi – ne avevo alcuni del valore di 20mila-30mila euro – poi ho deciso di venderli per comprare le piantine. Perché questa scelta? I bonsai vivono, gli orologi sono oggetti inanimati».
Vegliandi osserva le sue piantine, come un buon padre di famiglia le accarezza:  «L’azalea è la più vecchia che ho. Ha 114 anni e un valore di circa 15mila euro. È con me da 30 anni. Non potevo comprarla perché costava 5 milioni di lire e non avevo i soldi in quel momento. La prese una persona che però le spezzò un ramo e allora io proposi di poterla comprare per un milione di lire. Così mi ritrovo questa pianta splendida. Il bonsai più pregiato che ho è il Pino Pentaphilla, ha un valore di 35mila euro e ha 100 anni. L’ho acquistato 31 anni fa pagandolo 7 milioni di lire al Centro Bonsai Piccin di Paderno Dugnano, nel Milanese. È  l’unico in Italia senza innesto. L’abete di Ezo è una delle specie più rare, si trova in Giappone: l’ho comprato 30 anni fa al costo di un milione e 200mila lire, oggi vale circa 5mila euro ».
Club Bonsai in Calabria
Giovanni ha deciso di tramandare la sua arte e da un anno è presidente del Club Bonsai di Cosenza. Oltre a questo, in Calabria ne esistono altri due: il Bonsai Club Perla dello Jonio a Soverato, e il Bonsai Club Pollino a Firmo. «Da un anno – spiega Vegliandi – esiste questo club. Siamo 11 soci. I miei colleghi sono giovani appassionati (25-40 anni). Ci incontriamo una volta a settimana qui a Dipignano. Voglio insegnare le tecniche che conosco e spero che molti si possano innamorare di questa arte. I calabresi sono incuriositi dai bonsai, ma non hanno pazienza per imparare,  soprattutto non aspettano tanti anni prima di poter vedere i risultati». Molte persone però li acquistano o almeno pensano di averli acquistati. «In realtà non è così, dal fioraio compri la piantina non “educata”. I bonsai si vendono solo nei centri specializzati che nella nostra regione non esistono. Hanno comunque bisogno di cure, acqua, luce. Poi devono stare sempre all’aperto, tranne il ficus che d’inverno deve stare al chiuso».
Vegliandi prima non partecipava ai concorsi, alle esposizioni («ero troppo geloso»), poi ha ottenuto premi nazionali e riconoscimenti internazionali. «Il suo pino – racconta la moglie – in un concorso a Trento è stato inserito tra le 100 piante più belle d’Europa. A Soverato ha vinto tre premi in un concorso nazionale». «In Calabria – conclude Giovanni – vogliamo unire i tre club e creare un ordinamento che raggruppi le associazioni».
«Divulgare l’arte bonsai» è anche l’obiettivo del Club Perla dello Jonio. «Il Getsemani – spiega Francesco Caracciolo, segretario dell’associazione – è il più pregiato che abbiamo. Noi li vendiamo ma non per scopi di lucro. Inizialmente sono soprattutto i giovani calabresi ad avvicinarsi alle tecniche bonsai, ma poi lasciano perché sono poco pazienti. Stiamo lavorando per aprire altri due circoli: uno a Polistena e un altro nell’Alto Cosentino». Uno dei primi club è quello del Pollino che ha sede a
Firmo. «Siamo 14 soci  – dice Antonio Biagio De Giuseppe –. I giovani si avvicinano, ma poi abbandonano questa esperienza perché richiede pazienza, tempo e anche un sacrificio economico: le attrezzature costano. Le nostre piante sono soprattutto locali (pioppi, ginepri), le raccogliamo nei boschi.  Abbiamo circa 40 bonsai pronti per le mostre. Il più pregiato che ho è un pioppo bianco che ha circa 30 anni. L’ho trovato vicino casa 15 anni fa e vale 3mila euro. A volte li vendiamo ma solo per coprire le spese».
I club nascono come momento di confronto tra appassionati, per imparare però è necessario studiare. A Catanzaro esiste la scuola “Med Bonsai”. «La durata dei corsi – afferma Cosimo Fragomena, che gestisce l’istituto – è triennale. Si ha la possibilità di unire teoria e pratica. È l’unica scuola in Calabria. Esiste da circa tre anni e al momento gli iscritti sono sette: provengono da Catanzaro, Reggio, Vibo e Cosenza. Sono giovani e meno giovani. Io sono il docente principale e sono supportato da due colleghi che arrivano da altre regioni. La nostra finalità è quella di dare forma alle piante per farle diventare bonsai. Alla fine del corso viene rilasciato un attestato, ma nell’arte bonsai non si finisce mai di imparare. In Calabria – aggiunge Fragomena – le richieste sono pochissime anche perché si tratta di un’arte non molto conosciuta. Si comincia con la passione per le piante, si frequentano i club e poi si decide di apprendere le tecniche; bisogna avere pazienza e costanza. È come allevare un bambino, curarlo ed educarlo. Il costo delle lezioni è di circa 400 euro per il corso base, e varia a secondo dei livelli».
Una passione in miniatura, ma molto profonda.

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