L’esperto di Sky Sport per la Liga spagnola è un calabrese doc. Antonio Nucera, reggino di origine, lodigiano di adozione, racconta agli appassionati di calcio le prodezze di Messi e Cristiano Ronaldo, le sfuriate di Mourinho e le intuizioni di Guardiola. Ma quando può, a costo di cumulare più ore di
volo di un pilota dell’Alitalia, torna a casa e si “accontenta” di commentare le gesta di Bonazzoli e Galardo. Delle vicissitudini del calcio nostrano, Nucera parla con amarezza ma anche con speranza.
Partiamo dalla Reggina. Lo scorso anno il sogno del ritorno in serie A è svanito nella semifinale dei play-off. Quali sono le prospettive per la prossima stagione?
«Per gli amaranto è l’anno decisivo. L’ultima partita interna dello scorso campionato, quella contro il Novara, è stata emblematica: da tanto tempo al “Granillo” non si vedevano ventimila spettatori. Uno spettacolo di tifo, colore e amore verso una squadra che, negli ultimi vent’anni, ha tenuto alto il nome della Calabria sportiva. È da lì che bisogna ripartire: dalla capacità di riportare la gente allo stadio».
Oggi però il “caro biglietti”, la tessera del tifoso, i rischi legati all’ordine pubblico allontanano la gente dagli stadi. Come promuovere la presenza sugli spalti?
«Nel caso della Reggina, molto dipenderà dalla programmazione della società: è necessario allestire una squadra di alto livello. Si è arrivati a un passo dalla promozione in serie A e adesso non si può più sbagliare. E poi c’è un enorme bisogno di chiarezza. I tifosi vogliono sapere quali sono gli obiettivi stagionali; la franchezza e la fiducia tra le parti pagano sempre».
Che segnali stanno giungendo dal club attraverso il calciomercato?
«Per il momento si capisce poco. Sono arrivati due o tre giovani che in B non sono ancora in grado di fare la differenza. Bisogna aspettare le prossime settimane: sarà fondamentale trattenere i “big” del calibro di Bonazzoli e Puggioni. Se si mantenesse l’ossatura della squadra dello scorso anno, ci si giocherebbe la promozione fino in fondo».
E se invece a Lillo Foti arrivasse la classica “offerta che non potrà rifiutare”?
«Se vuoi vincere il campionato, devi tenere un portiere di alto livello come Puggioni, che da solo ti garantisce parecchi punti in classifica. E non puoi privarti di Bonazzoli. Magari non rifarà 19 gol, ma è un leader, un carismatico: nei momenti difficili si assume le sue responsabilità e mette la faccia davanti alle telecamere. Lui sta alla Reggina come Totti alla Roma o Del Piero alla Juventus: una bandiera».
Progetti chiari ha invece il Crotone.
«Sì, è una società che punta alla riconferma nella cadetteria e per questo motivo, opportunamente, non fa mai il passo più lungo della gamba. Ursino ha collaudato un metodo di lavoro che si sta rivelando efficace: lancia giovani di diciotto o vent’anni, provenienti dai vivai delle grandi squadre, ma non li lascia privi di punti di riferimento, perché ci sono sempre due o tre giocatori di grande esperienza».
Senza particolari ambizioni.
«Certo, se i pitagorici dovessero ritrovarsi in lizza per un posto ai playoff, non si tirerebbero indietro e proverebbero a recitare il ruolo che ha svolto il Novara nella passata stagione. Ma mi sembra difficile che possa esserci un progetto finalizzato al salto di categoria, perché mancano alcuni requisiti strutturali, come uno stadio adatto a spettacoli più prestigiosi».
Vogliamo stilare una griglia di partenza della prossima serie B?
«La Sampdoria è nettamente più forte di tutti. Poi c’è un gruppo di quattro o cinque squadre che possono lottare per il secondo posto o per i playoff: il Padova, il Torino e direi anche la Reggina. Ma occhio al Livorno e al Verona».
Veniamo alle note dolenti del calcio calabrese. A cominciare dal Catanzaro.
«Sono convinto che alla fine si possa aprire qualche spiraglio. Ma non è solo un problema di categoria dalla quale ripartire. In casa giallorossa negli ultimi anni c’è stata tanta, troppa confusione. Non è possibile cambiare ogni anno cordata societaria, dirigenti, programmi, obiettivi. Serve continuità».
Quanto incide il fatto che la tifoseria non sia mai riuscita ad accettare la dimensione della Seconda divisione, vivendo ancora dei ricordi del passato?
«Questo fattore pesa, certo. Ma Catanzaro è una grande piazza, calorosa, con un pubblico e una cittadinanza molto attenti e vicini alla squadra. Le precondizioni per mettere in piedi un progetto serio ci sono, così come esiste un bacino di pubblico ampio e interessato. I problemi – voglio ripeterlo – sono altri. Innanzitutto la mancanza di quella continuità aziendale che è stata il segreto del successo della Reggina. E poi l’incapacità nell’organizzazione e nella gestione della società. Tanto per fare un esempio, se non si riesce neanche a garantire l’acqua calda negli spogliatoi al termine dell’allenamento, come si può pensare di programmare una promozione?».
È più o meno quanto accaduto anche a Cosenza.
«Sì, le analogie sono parecchie. A cominciare dal fatto che sono cambiati diverse volte gli assetti societari, anche se in realtà la gestione ha continuato ad essere sostanzialmente nelle mani della famiglia Pagliuso. Che ha dato tanto al calcio rossoblù, ma che non può pensare di continuare a fare calcio come vent’anni fa».
Cosa c’è di diverso, adesso?
«Oggi gli organi federali spulciano nei libri sociali e deve essere tutto in regola: avere una grande storia non è più sufficiente per meritarsi l’iscrizione al campionato. Il calcio è cambiato e se si vuole guidare una società bisogna sapersi adeguare e avere bilanci virtuosi».
Anche a Cosenza, tuttavia, c’è grande “fame di sport”.
«Lo scorso anno, quando la Juventus scese al San Vito per un’amichevole, c’erano ventiquattromila persone allo stadio. Se non è amore questo…».
Una ricetta per salvare il calcio calabrese?
«Trovare degli imprenditori che abbiano voglia di investire davvero. E poi ricevere un sostegno dal mondo delle istituzioni che non sia un mero palliativo per problemi di natura economica, ma un sostegno più “politico” e di fondo ai progetti societari».
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