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Un libro come arma per uccidere le ’ndrine

«Un cazzotto nella pancia degli ’ndranghetisti». È quello che Lirio Abbate, giornalista dell’Espresso, minacciato da Cosa nostra e costretto a vivere sotto scorta, vuole sferrare a Lamezia Terme, d…

Pubblicato il: 30/07/2011 – 19:47
Un libro come arma per uccidere le ’ndrine

«Un cazzotto nella pancia degli ’ndranghetisti». È quello che Lirio Abbate, giornalista dell’Espresso, minacciato da Cosa nostra e costretto a vivere sotto scorta, vuole sferrare a Lamezia Terme, dal 22 giugno palcoscenico di “Trame. Festival dei libri sulle mafie”, organizzato dall’assessorato alla Cultura del Comune della Piana, in collaborazione con Ala (Associazione antiracket Lamezia) e il patrocinio di Aie (Associazione italiana editori), sotto gli auspici del “Centro per il libro e la lettura”.
Cinque giorni di incontri e dibattiti con magistrati, giornalisti e scrittori. I numeri e i nomi di “Trame” parlano chiaro: dal procuratore aggiunto della Dda Nicola Gratteri alla giornalista Marcelle Padovani, corrispondente del Nouvel Observateur e autrice della celebre intervista a Giovanni Falcone, poi confluita nel libro “Cose di Cosa nostra” (1992). L’amministrazione comunale ha tenuto a precisare il titolo gratuito con cui molte delle “menti” del Festival hanno aderito, da Abbate all’autore del logo, Guido Scarabottolo. Un momento di confronto tra chi indaga e chi scrive di mafia in una fase delicata per Lamezia Terme, che registra il dato ancora più triste: il ripartire di una lunga scia di sangue. «Bisogna riflettere – afferma Abbate, direttore del Festival – anche alla luce di quanto accaduto: due agguati in tre giorni alla vigilia di un evento unico nel genere in Italia e che si svolge in esclusiva in Calabria. Un’iniziativa che riunisce tutti gli autori di libri sulle mafie che si confrontano con i magistrati e con chi lotta in prima linea contro la criminalità organizzata e contro la ’ndrangheta, quindi con chi ci mette la faccia e la firma. Il messaggio che vogliamo lanciare è quello di abbattere il muro di omertà e far capire ai calabresi che si può cambiare registro, che non si è soli e soprattutto che si può e si deve reagire a viso scoperto restando uniti». Lirio Abbate non si lascia scoraggiare dal sangue che macchia Lamezia nei giorni di preparazione del Festival e il suo messaggio diventa più forte: «Chiedo ai ragazzi lametini e calabresi di scendere con noi nelle piazze per dare un cazzotto nella pancia degli ’ndranghetisti e dei loro complici. In questo modo è possibile fornire un esempio concreto della reazione alle mafie. Noi lo stiamo facendo in modo del tutto volontario e gratuito perché riteniamo che insieme possiamo alzare la testa e resistere: è il nostro obiettivo in Calabria. Se qualcuno poi vuole chiamarsi fuori, lo faccia pure…». Lirio Abbate risponde così all’appello lanciato da un consigliere comunale del Pdl, Teresa Benincasa, che ha chiesto al sindaco di «revocare il programma del “Festival della mafia”» perché «evoca curiosità e fascino nelle nuove generazioni verso la mafia». «Parla di cose che non conosce – precisa Abbate – perché non è un festival della mafia, ma sui libri di mafia. E soprattutto non è una fiera dove si vendono libri o dove si vende bestiame, si tratta di un’occasione per reagire perché non è possibile pensare che un uomo arrivi in un campo di calcetto pieno di gente, possa sparare otto colpi di pistola e nessuno ha visto o sentito nulla. Le istituzioni sono con noi, la magistratura è forte e lo sta dimostrando con le operazioni e le inchieste portate a termine, adesso tocca alla società civile non avere più paura».
Ad aprire le fila dell’«e-sercito di antimafiosi» sarà don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che il primo giorno del Festival parteciperà a un convegno sulla libertà di informazione.
Gli incontri si svolgeranno dalle 18 alle 24. Nomi, volti e storie uniti a tessere le trame della lotta contro la ’ndrangheta.

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