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La Calabria fa acqua da tutte le parti

«Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia, stesso mare… ». A distanza di oltre 50 anni, il consiglio di Mina è ancora valido: non serve spostarsi. Tutto rimane immutato. Soprattutto le ineffi…

Pubblicato il: 02/08/2011 – 18:42
La Calabria fa acqua da tutte le parti

«Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia, stesso mare… ». A distanza di oltre 50 anni, il consiglio di Mina è ancora valido: non serve spostarsi. Tutto rimane immutato. Soprattutto le inefficienze. Infatti già mesi fa il rapporto di Legambiente “Acque nere” metteva in luce un deficit da primato: in Calabria la gran parte degli impianti di depurazione è fuori legge. Ventidue Comuni non si sono adeguati alle direttive dell’Unione europea. Non è una novità che il sistema della depurazione faccia acqua da tutte le parti. Ma fino ad oggi nulla è cambiato. Ecco cosa evidenziava l’associazione ambientalista. La Commissione europea nel 2009 deferisce l’Italia e la Spagna alla Corte di giustizia dell’Unione per la violazione della normativa sul trattamento delle acque reflue urbane, in base alla quale entro il 31 dicembre 2000 i due Paesi avrebbero dovuto predisporre sistemi adeguati per il convogliamento e il trattamento delle acque nei centri urbani con oltre 15mila abitanti. Nonostante i due avvertimenti già inviati nel 2004 e nel 2009, dall’Italia non ci sono risposte convincenti e soprattutto non si è provveduto per tempo a rendere conformi gli impianti nei comuni fuori legge. Così arriva prima la messa in mora e, a maggio del 2010, il deferimento alla Corte di giustizia: 178 città italiane non si sono ancora conformate alla direttiva. Le acque reflue urbane non trattate rappresentano sia un pericolo per la salute pubblica, che la principale causa di inquinamento delle acque costiere e interne da parte di virus e batteri. Tra l’altro contengono nutrienti come l’azoto e il fosforo che possono danneggiare le acque dolci e l’ambiente marino, favorendo la crescita eccessiva di alghe che soffocano le altre forme di vita. Nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 29 gennaio scorso vengono pubblicate le conclusioni del ricorso presentato il 2 dicembre 2010 dalla Commissione europea contro la Repubblica italiana in materia di depurazione delle acque. Il documento elenca tutti i Comuni italiani «in procedura di infrazione per inadempimento nell’attuazione della direttiva 1991/271/CE». MALFUNZIONAMENTO E PESSIMA GESTIONE Nella fotografia di Legambiente sono finite sotto la lente inadempienze di diverso tipo, ma che spesso riguardano lo stesso ente. Ai ventidue Comuni viene contestata la mancanza di un adeguato sistema di fognatura. In particolare, a tredici l’assenza di un sistema di depurazione conforme alla direttiva (cioè almeno con un trattamento di tipo secondario), e a dodici, soprattutto lungo la costa, il sottodimensionamento degli impianti rispetto alle forti variazioni stagionali di presenze. In tutti e due i gruppi rientrano anche i capoluoghi di provincia Crotone e Reggio Calabria. Il dossier evidenzia a chiare lettere un’altra maglia nera: solo il 37,4 % dei calabresi è servito da un sistema di depurazione secondario o terziario. E quest’ultimo è l’unico che garantisce il processo completo di depurazione. Infatti, per oltre il 62% dei cittadini non c’è depurazione o gli impianti esistenti sono di tipo primario, cioè consentono soltanto di separare e rimuovere materiali di grandi dimensioni. Ma il risultato è che al mare arrivano scarichi senza alcun trattamento biologico o chimico, che sarebbe garantito dalla fase secondaria e terziaria. Emerge uno scenario piuttosto critico sia per quanto riguarda le infrastrutture fognarie che la copertura depurativa. Dal rapporto di Legambiente sono trascorsi alcuni mesi. Cosa è stato fatto? Nulla. Cosa è cambiato? Niente. E i problemi restano. Dieci anni di commissariamento nel sistema della depurazione Nell’ottobre del 1998 la Regione Calabria, già commissariata da oltre un anno per lo smaltimento dei rifiuti, chiede al governo la dichiarazione dello stato di emergenza ambientale anche per affrontare i disagi legati alla rete fognaria e alla depurazione. Di proroga in proroga, il commissariamento nel settore dei rifiuti è ancora in vigore. In quello della depurazione, invece, la gestione straordinaria si conclude nel 2008 e la competenza sullo smaltimento delle acque reflue torna nelle mani degli Ato (Ambiti territoriali ottimali) e degli enti locali. Al momento del commissariamento nel 1998, la relazione della giunta regionale descrive uno scenario di «grave inadeguatezza complessiva del sistema di trattamento delle acque». I dati non sono rassicuranti: il 20% della popolazione è servito da fognature insufficienti e molti centri abitati sono totalmente privi di rete, e scaricano i reflui a cielo aperto direttamente nei corsi d’acqua. La stessa analisi viene estesa al sistema degli impianti di trattamento «vecchi, inadeguati e sottoposti a pessima gestione». Un quadro sempre più desolante: fogne e depuratori non funzionano e sono la causa diretta dell’inquinamento del mare calabrese. Un’ordinanza della presidenza del Consiglio dei ministri stabilisce nel 1999 i compiti della struttura commissariale: «Realizzare nuovi impianti e adeguare quelli esistenti, effettuare opere e collaudi, mappare le falle del sistema fognario, progettare gli interventi e proporre al Cipe i piani di investimento. Il tutto in sostituzione dei soggetti preposti, ricorrendo, ove necessario, anche a occupazioni d’urgenza ed espropri. E naturalmente, in forza dei poteri speciali, in deroga a una lunga lista di norme di settore». Nel 2001 una successiva ordinanza assegna al commissario anche il compito di «predisporre un piano di tutela del sistema idrico per l’intero territorio regionale e di attuare il monitoraggio della qualità delle acque così come richiesto dalle direttive comunitarie. Viene ribadita la necessità di stilare il programma degli interventi e di procedere con la realizzazione dei progetti e delle opere più urgenti». Nel corso degli anni successivi, l’azione dell’Ufficio del commissario si concentra su alcuni elaborati. Sostanzialmente sono quelli meno onerosi, quelli di più veloce realizzazione e quelli dislocati lungo la costa e nelle zone ad alta ricettività turistica. Negli ultimi anni di gestione straordinaria, almeno dal 2004 in poi, l’Ufficio del commissario trasferisce agli Ato molte responsabilità, soprattutto per l’organizzazione degli impianti e la realizzazione di nuove infrastrutture. Nella relazione conclusiva del gennaio 2007, in cui si delinea già un «percorso di superamento della stagione commissariale», si sottolinea come «i numerosi contenziosi con i Comuni per il mancato pagamento dei canoni incida negativamente sulla prospettiva di avviare un ritorno alla gestione ordinaria del sistema». I fondi su cui la struttura può contare sono quelli indicati nelle diverse ordinanze del governo (oltre 196 miliardi di lire solo nel biennio 1997-1998), oltre a quelli specificamente destinati alla realizzazione di opere di fognatura e depurazione dalle risorse comunitarie, nazionali, regionali e locali. Il commissario può fare richiesta di finanziamenti ad hoc entro programmi nazionali e comunitari. I soldi quindi ci sono. Nel 2006 il governo stanzia altri 8 milioni di euro per fronteggiare l’emergenza ambientale. Il denaro, che arriva dal ministero dell’Ambiente e dal fondo di Protezione civile, viene suddiviso nelle cinque province per la manutenzione straordinaria di alcuni impianti. Nel gennaio del 2007 viene stilato un resoconto degli interventi, effettuati o in corso d’opera in vista di una prossima chiusura della gestione straordinaria. Legambiente, già mesi fa, tirava le somme: «In tutta la Calabria ne risultano 136 (tra rifacimento di collettori, adeguamento di impianti, dismissione di depuratori non funzionanti e avvio delle procedure per realizzarne di nuovi) per una spesa di 337,1 milioni di euro». Il sistema della depurazione calabrese costa, ma continua a fare acqua.

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