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«Un codice etico del Teatro»

CASTROVILLARI Un «codice etico scritto e condiviso da tutti, fatto di regole e criteri trasparenti»: lo chiede la compagnia Scena verticale prendendo spunto dalle polemiche seguite alla nomina di G…

Pubblicato il: 05/08/2011 – 12:55
«Un codice etico del Teatro»

CASTROVILLARI Un «codice etico scritto e condiviso da tutti, fatto di regole e criteri trasparenti»: lo chiede la compagnia Scena verticale prendendo spunto dalle polemiche seguite alla nomina di Giorgio Albertazzi alla direzione del Magna Graecia teatro festival e al suo coinvolgimento nel cartellone, a dispetto di quanto fosse scritto nel bando per la selezione del direttore artistico.
La compagnia castrovillarese scrive che «l’eventuale incompatibilità del coinvolgimento artistico di Albertazzi all’interno del suo programma, sempre che venga riscontrata, non deve riguardare gli esclusi di oggi (che potrebbero essere gli inclusi di domani, e viceversa) ma tutti i teatranti e i cittadini calabresi. La verità, il rispetto della legalità, la buona condotta riguarda tutti noi: inclusi (che come tutti noi attraverso i loro spettacoli promuovono valori e senso civico), esclusi e più correttamente tutti noi cittadini. Cittadini che vigilano sul rispetto delle regole e che chiedono ai loro rappresentati (ai loro eletti) comportamenti conformi al mandato che gli hanno conferito».

LE ANOMALIE NELLA SELEZIONE:
IL PROMOTER SUPERA I TEATRANTI
Scena verticale segnala «un’altra questione sulla quale si è finora sorvolato: come mai risulta secondo in graduatoria Ruggero Pegna, eccellente organizzatore ma di eventi musicali, mentre uno di noi, Saverio La Ruina, è terzo, Cauteruccio quarto e a seguire una lunga schiera di candidati tutti di riconosciuta competenza nel settore teatrale?».  
«Con la scelta di Albertazzi – si legge ancora nella lettera aperta di Saverio La Ruina, Dario De Luca e Settimio Pisano – la Regione realizza il progetto a cui mirava. È vero anche che rischia di mettere il bisogno di immagine al di sopra di un progetto di reale crescita del territorio. Se i cittadini, i teatranti vogliono altro devono mettere in campo un progetto culturale alternativo, sapendo che si gioca sul campo della credibilità e della qualità e soprattutto che non può prescindere dall’impegno unitario di tutti gli operatori calabresi».
Si chiedono poi La Ruina, De Luca e Pisano: «Dal Mgtf, oltre che incidere e giustamente sulla promozione turistica, considerate le risorse notevoli a disposizione, non è lecito aspettarsi di più? Secondo noi anche a livello culturale, ma così entriamo nella querelle su cosa è “culturale” e solo esperti seri potrebbero sottrarlo alla sterile polemica. Allo stato dei fatti, l’unica altra cosa importante che riteniamo debba orientare le scelte, quale che sia il “culturale” perseguito, è la reale incidenza sul sistema teatrale calabrese, il cui rafforzamento e la cui crescita rimangono il lascito dal quale la Calabria riparte prima e dopo il Mgtf. Perché sono la miriade di realtà territoriali a promuovere con un lavoro certosino durante l’intero anno la cultura teatrale all’interno dei più piccoli interstizi del tessuto sociale calabrese. E il Mgtf ha sia le risorse che le finalità per poter valorizzare
questi percorsi».

«È MANCATO IL CONFRONTO
SULLE LINEE PROGRAMMATICHE»
Da qui la proposta, «soprattutto in tempi critici per un settore già in affanno», di «investire sulle eccellenze calabresi, sui gruppi artisticamente validi, sulle potenzialità promettenti e rafforzarne l’identità valorizzandoli. Solo un indirizzo di questo tipo può cambiare la percezione di fragilità che si ha in Italia del teatro calabrese». Sui 6 spettacoli all’interno del programma, si consuma per Scena verticale «uno dei punti più oscuri di
questa vicenda» a causa del «mancato confronto sulle linee programmatiche di Mgtf da parte di Albertazzi e del suo staff con gli operatori calabresi (peraltro richiesto ufficialmente a tempo debito)», un approccio che avrebbe «incrinato ulteriormente la fragile e stentata unità del sistema teatrale regionale. Non avesse dialogato con nessuno, lo staff avrebbe mostrato almeno coerenza. Difatti ha dialogato con chi lo ha cercato
(dopo che il programma era chiuso l’abbiamo fatto anche noi per sentire le ragioni dell’esclusione che, tra l’altro, non riscontriamo del tutto coerenti con le scelte effettuate). Ha accolto individualmente e così facendo ha determinato azioni individuali, incontri individuali (che non stiamo qui a criticare, è evidente che in situazioni del genere succeda così). Accogliendo separatamente, ha separato. Di fatto ha creato una spaccatura tra gli inclusi e gli esclusi. Di fatto assistiamo al lamento degli esclusi e al silenzio degli inclusi (anche questo comprensibile!). Ma tra il troppo rumore degli uni e il silenzio degli altri c’è qualcosa che non va, c’è qualcosa di stonato, c’è appunto una crepa che si è allargata. Con una metafora si potrebbe dire che Albertazzi è entrato come un elefante in una stanza di cristalli».

LE ASSENZE DI ALBERTAZZI
E IL BISOGNO DI RITROVARE UNITÀ
«Non si sta dicendo che tutti sarebbero dovuti rientrare nel programma che così ne sarebbe uscito snaturato. Ma una trasparenza nel criterio delle scelte e nel metodo avrebbe fatto giustizia, e tutti o la maggior parte di noi li avrebbe difesi, o almeno noi,  anche da esclusi. Insomma, se Albertazzi e il suo staff hanno apportato qualche ambiguità in più all’interno del nostro sistema, di cui proprio non se ne sentiva il bisogno, la cosa non gli fa onore. Non a un artista del suo calibro. Di solito i grandi artisti, e lui lo è, rappresentano per noi tutti quella luce che ci orienta fra le tenebre di questo mondo oscuro. Dando segnali di trasparenza, anche attraverso scelte legate a principi condivisibili, avrebbe dato un apporto dal valore simbolico inestimabile, soprattutto in una terra dove la trasparenza e i
principi latitano da sempre e dove i cittadini già pagano per questo un costo altissimo. Ci concediamo anche un dubbio: che preso dai suoi mille impegni abbia lasciato nelle mani di altri questa delicata materia. Ma se questo lo giustifica da una parte, lo rende ancora più responsabile dall’altra».
Dalla vicenda Magna Graecia teatro festival, La Ruina, De Luca e Pisano prendono spunto per rilanciare «la necessità di (ri)trovare unità all’interno del sistema teatrale calabrese» proprio attorno a un codice etico. «Noi – concludono – contestammo certe irregolarità del circuito teatrale calabrese nonostante il suo sostegno a Primavera dei Teatri; contestammo l’irregolarità della convocazione delle compagnie calabresi fatta dal direttore del Mgtf 2010 tramite fax di una struttura teatrale privata, nonostante la nostra presenza all’interno
di quella programmazione. Altri lo hanno fatto verso altre irregolarità. Proviamo a stilare insieme un elenco di regole e criteri condiviso da tutti. E su cui vigilare».

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