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Birra che passione

Il birraio è un alchimista. Uno che con pazienza e pignolerie segrete mescola elementi della natura, dal cui sposalizio ha vita una bevanda antica eppure moderna. All’inizio il birraio-alchimista è…

Pubblicato il: 05/08/2011 – 20:00
Birra che passione

Il birraio è un alchimista. Uno che con pazienza e pignolerie segrete mescola elementi della natura, dal cui sposalizio ha vita una bevanda antica eppure moderna. All’inizio il birraio-alchimista è sempre guidato dalla passione, spesso da una insoddisfazione, che da esigente consumatore nutre verso il gusto delle birre più comuni. È così che qualcuno comincia a  cercare la “propria” birra, quella che con i profumi e i retrogusti, meglio rappresenta un certo ideale di aroma, colore, pastosità e sapore. Inizia quindi un viaggio, una vera avventura, che per prove ed errori qualche volta giunge a risultati eccellenti, premiati da mercati di nicchia, ma estremamente esigenti.
In Calabria gli homebrewers cominciano ad essere una tribù. All’inizio quasi una setta segreta, oggi numericamente più diffusi, sempre però con l’aura di iniziati, destinatari se non di segreti, certamente del mistero della birra. Qualcuno poi ha cercato, con successo, di trasformare un amore in impresa. Come Nicolò Lo Conte, titolare dell’omonimo birrificio artigianale a Catanzaro. La sua avventura di piccolo e pregiato produttore di birra inizia nel ’99, quando riesce a usufruire del sostegno all’imprenditoria della legge 488, «di cui abbiamo speso e bene tutti i fondi,  affrontando il mercato e affermandoci soprattutto al Nord», spiega il birraio.
La birra Lo Conte, con l’effigie del templare come etichetta sulle pregiate bottiglie, la si può trovare in alcuni dei più esclusivi locali romani. Oggi il birrificio Lo Conte produce circa mille litri giornalieri, imbottigliati con cura nei locali sottostanti a quello destinato alla produzione. Grandi cassoni di metallo, sorvegliati severamente da manometri che ne indicano la temperatura e la pressione, lavorano e conservano le materie prime: il malto, l’acqua, il luppolo. Una delle  fasi più delicate resta la tostatura del malto, dalla cui durata consegue il colore della birra stessa. Poi il punto cruciale, la cottura e la produzione del mosto. Commettere un errore in questa fase comprometterebbe la qualità dell’intera produzione. «Qui produciamo quattro tipologie di birre, tutte di qualità elevata – spiega Nicolò Lo Conte – una bionda, una rossa doppio malto, una stout, quindi nera e una di solo frumento».
Si tratta di birre non pastorizzate, quindi con un grado di purezza assai maggiore e la qualità che nessuna produzione industriale potrà mai eguagliare. Infatti la pastorizzazione è un procedimento cui solo la produzione industriale è obbligata, data la grandissima quantità di prodotto da immagazzinare in attesa dell’imbottigliamento e diffusione.
La produzione artigianale, con le sue quantità importanti, ma tuttavia sempre contenute, ha il privilegio di saltare quel passaggio, mantenendo così i lieviti vivi e garantendo alla birra un livello superiore di bontà. Anche Lo Conte però ha iniziato il suo viaggio nella birra da piccolo alchimista, producendo all’inizio per sé e pochi amici i suoi primi 19 litri di birra nella cucina della sua abitazione. Fu quello il primo passo per una scelta che ha coniugato il business alla passione. Chi ancora non ha compiuto il passo definitivo dall’amore all’impresa è invece Eraldo Corti, cosentino, punto di riferimento di quanti amano la birra e sono alla ricerca di sapori nuovi e suggestivi. Infatti Eraldo è una specie di sacerdote della produzione in casa della birra. Ne produce una che ha chiamato Riulì, rievocando il motivetto di un antico ritornello. Chiara, leggera, amabile nei retrogusti che lascia al palato, Riulì nasce dalla fantasia di Corti, che però non avendo spazi adeguati né attrezzature,  la produce in un birrificio di Salerno. Ma il locale Nabbirra, di cui Eraldo  è il cerimoniere oltre che il proprietario, è la Mecca degli amanti della birra a Cosenza.
Prima il locale era in un vicolo un poco nascosto e soprattutto gli spazi erano davvero angusti, tuttavia il passaparola e la buona fama attiravano comunque grandi quantità di amanti della birra. Presto Corti si è accorto che occorreva fare un passo in più e Nabbirra si è spostata nei pressi di piazza dei Valdesi, in spazi assai più grandi. Anche Corti ha iniziato il suo viaggio nell’universo della birra da consumatore insoddisfatto ed esigente, fino a giungere alla conclusione che la birra era necessario farsela da sé. «La prima cotta l’ho fatta in casa», racconta Eraldo, spiegando anche che la “cotta” è la cottura, la fase della produzione della birra. Di lì comincia il cammino verso una birra perfetta, una serie di tentativi che passano attraverso l’uso di pentole, scelta dell’acqua, «che non deve avere alcun sentore di cloro», della scelta del malto e della quantità di luppolo, che serve invece per conferire l’amaro al sapore finale.
E poi le temperature, la tostatura, la standardizzazione delle procedure. Alla fine Eraldo ha la sua birra che porta un’etichetta azzurra. Eraldo è anche un mentore.  Tanti che sono affascinati dall’auto produzione si rivolgono a lui. Regala suggerimenti, divulga segreti, rivela dettagli. Lui invece all’inizio ha dovuto fare tutto quasi da solo. Fino a farsi recapitare a casa la rivista americana Brew your own, praticamente la bibbia della birra auto prodotta.  Corti svela che in tanti il primo passo lo fanno usando i kit, piccoli contenitori con dentro tutto quanto serve per fare la birra.
I risultati sono quasi sempre mediocri e chi si rivela essere un autentico appassionato che vuole essere iniziato all’arte della birra, lascia i kit per passare alla scelta personale dei prodotti e si abbevera ai consigli di Corti, magari assaporando  una delle  240 sofisticate etichette che si possono trovare da Nabbirra.
Ma come sempre, molti sono i chiamati, pochi gli eletti. La birra è una passione che esige pazienza e impegno. Serve costanza, davanti ai primi tentativi che spessissimo non sono gratificanti, e poi si deve conoscere la materia prima, essere severi nel selezionarne la provenienza e la qualità, ripetere senza cedere alla voglia di mollare i passaggi per giungere a una standardizzazione delle procedure e alla stabilizzazione della resa finale.
Comunque, attorno a Nabbirra è cresciuto un pubblico esigente e attento, curioso di indagare i mille sapori della birra, come quella esotica giapponese, oppure quelle rarissime e assai costose, che Corti tiene quasi come reliquie. Poi ci sono le incompiute, come la birra alla ciliegia, Cerasella, appunto.
Che non ha avuto il futuro che avrebbe meritato perché per farla occorrevano dieci chili di ciliegie snocciolate, «ed era davvero faticoso», dice rassegnato Corti. Nel panorama calabrese vanno citate altre due esperienze di birrifici artigianali, quella di San Lucido e quella di Santa Sofia d’Epiro, nella provincia di Cosenza. Al momento entrambi i birrifici hanno interrotto la loro produzione, a causa di alcune criticità da affrontare.
Quello che bisogna sottolineare è il lavoro di divulgazione svolto da Beer Emotion, l’associazione che raccoglie gli homebrewers calabresi e sostiene la cultura della birra.

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