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Aveva preferito il Sudan al porto di Gioia Tauro

Domani sera ci sarà probabilmente una fiaccolata a Motta San Giovanni. È il modo con cui la cittadina del basso Jonio, in provincia di Reggio Calabria, vuole stare vicino alla famiglia Azzarà e, al…

Pubblicato il: 16/08/2011 – 19:15
Aveva preferito il Sudan al porto di Gioia Tauro

Domani sera ci sarà probabilmente una fiaccolata a Motta San Giovanni. È il modo con cui la cittadina del basso Jonio, in provincia di Reggio Calabria, vuole stare vicino alla famiglia Azzarà e, allo stesso tempo, chiedere la liberazione di Francesco, il giovane di 34 anni sequestrato la sera del 14 agosto in Sudan, a Nyala, dove era ritornato una seconda volta per lavorare nel Centro pediatrico che Emergency ha aperto nel luglio del 2010.
A settembre sarebbe dovuto partire per Kabul, sempre con l’organizzazione non governativa di Gino Strada. Per lui è stato sempre fondamentale sentirsi utile, avere un lavoro che gli piace indipendentemente da quanto questo potesse essere sicuro.
Adesso è in mano ai sequestratori. Ancora nessun segnale, nessuno si fa vivo mentre la Farnesina e Gino Strada sono in costante contatto con la famiglia.
«Mi distendo sul letto. Ho la testa che mi scoppia». Santo Azzarà, il padre di Francesco, ha 70 anni e non dorme da 48 ore, da quando il responsabile dell’Unità di Crisi della Farnesina, Nicola Minasi, ha telefonato a casa per comunicare che suo figlio è stato sequestrato in Sudan, a Nyala. Ogni minuto diventa un’ora. Ogni ora diventa un giorno senza avere notizie di Francesco.
La loro casa, a Motta San Giovanni, è un via vai di persone che vengono a chiedere informazioni, che cercano di stare il più possibile vicine alla famiglia Azzarà.
«I genitori sono preoccupati perché è in mano a non si sa chi. – spiegano la sorella Liliana e il cognato Vincenzo Catalano – Sia Emergency che la Farnesina sono in contatto con noi. Siamo comunque fiduciosi».
Il cugino lo descrive come “un giovane pacato, tranquillo e determinato”.  Non incosciente e avventato. Piuttosto, Francesco è uno che, sin da ragazzino, ha avuto le sue idee. Non amava il lavoro dietro la scrivania.
Dopo essersi laureato a Pisa in economia aziendale, ha frequentato un master in commercio estero. Il padre sperava che lavorasse in banca. Non era, però, il futuro che Francesco si stava costruendo. E dopo aver lavorato a Roma, Viareggio e Pisa, si è recato all’estero, in Spagna, Irlanda e Olanda, per perfezionare la lingua. Ha rifiutato lavori importanti come quello al porto di Gioia Tauro, alla Medcenter. Dieci mesi gli sono stati sufficienti per capire che non era quella la sua strada. Ha lasciato la provincia di Reggio per viaggiare e rendersi utile, anche se questo significava stare lontano dalla propria famiglia con cui si sentiva almeno una volta alla settimana attraverso skype.
«Mi aveva contattato pochi giorni prima di essere sequestrato. – ci dice il cugino Francesco Legato – Lo stiamo aspettando. Speriamo che quest’incubo finisca presto».

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