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«Quel principe che mi presentò a Mattia Preti»

COSENZA Siamo alla fine del Seicento. Un principe di Roccella Jonica si fa seppellire con tutti i suoi avi in una chiesa di Malta, nella stanza che custodisce uno dei dipinti più celebri di Caravag…

Pubblicato il: 18/08/2011 – 10:51
«Quel principe che mi presentò a Mattia Preti»

COSENZA Siamo alla fine del Seicento. Un principe di Roccella Jonica si fa seppellire con tutti i suoi avi in una chiesa di Malta, nella stanza che custodisce uno dei dipinti più celebri di Caravaggio. Più di tre
secoli dopo, quel principe aiuta un suo conterraneo a conoscere Mattia Preti. Potrebbe essere raccontata come un noir a tema artistico la storia di Giuseppe Mantella, restauratore calabrese oggi impegnato nell’isola “adottiva” del Cavaliere di Taverna per preparare il IV centenario della nascita (1613-2013). «Sì, perché – ci racconta Mantella a Cosenza, dove resterà fino a fine mese per un lavoro alla Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici della Calabria – Malta a mio parere non è l’isola di Caravaggio ma di Mattia Preti. Vi rimase fino alla morte, nel 1699, realizzando in quarant’anni circa 400 opere» a fronte delle due firmate Michelangelo Merisi: un “San Girolamo” – di cui esiste una seconda versione conservata alla Galleria Borghese di Roma – e, appunto, la “Decollazione di San Giovanni Battista”, l’olio su tela datato 1608 grazie al quale Caravaggio ottenne l’onore della Croce di Malta – entrambi i dipinti sono conservati nella Concattedrale di San Giovanni a La Valletta, un’opera che in nuce esaltava l’idea di Europa, con le sue cappelle dedicate ognuna ai Cavalieri di una nazione.

IL SOCCORSO DEI PRIVATI
E LA CALABRIA CHE “SNOBBA”
Giuseppe Mantella arriva a Malta nel 1996 (per un progetto, finito nel 2005, finalizzato allo studio degli artisti italiani nell’isola) per lavorare sul reliquiario di San Giovanni commissionato dal Gran maestro Gregorio Carafa, il nobile roccellese che voleva celebrare la propria partecipazione, da ammiraglio, alla battaglia dei Dardanelli, quella nella quale fu di fatto sancita la supremazia della cristianità nell’area mediterranea. «Ho trovato molto curioso – sorride – che un personaggio storico nato a pochi chilometri dalla mia città, Isca sullo Jonio, ma “incontrato” da me trecento anni dopo, fuori dai confini italiani in un luogo così suggestivo e carico di storia, sia stato decisivo nell’indirizzare la mia attività di ricerca… È stato grazie a lui se mi sono imbattuto nell’opera di Mattia Preti, altro insigne calabrese».
L’attività di Mantella e del suo socio Sante Guido oggi si divide tra la Calabria e Roma, dove la loro ditta ha sede, e ha all’attivo restauri importantissimi come le tombe di Innocenzo VIII e Sisto IV nella Basilica di San Pietro, la “Medusa” di Gian Lorenzo Bernini in Campidoglio e la statua di Urbano VIII, anch’essa del Bernini, nella Sala degli Orazi e Curiazi dei Musei Capitolini in occasione della storica firma della Costituzione europea nel 2004.
Lavori di grosso impatto e valore scientifico, «eppure…». Eppure? «Eppure con i tagli sempre più cospicui che il governo destina alla Cultura, siamo costretti a lavorare sempre più spesso con sponsor privati, dalla Telecom alla Federazione dei tabaccai», afferma Mantella. Che ha qualcosa da dire anche sulla Calabria, «la mia Calabria» per la quale, tra le altre cose, ha restaurato la statua lignea della Madonna dei poveri a Seminara: «Beh, mi duole notare che le università calabresi sono tra le poche con le quali non ho mai avuto rapporti lavorativi». E infatti può capitare che all’inaugurazione del cantiere aperto a Palazzo Arnone per il restauro di alcune opere tre-quattrocentesche (visibili fino al 31 luglio anche sul web digitando progettodiagnostica.it o articalabria.it), un docente dell’Unical entri a vedere il laboratorio di Mantella e della sua équipe e non cerchi un contatto, né senta il bisogno di presentarsi per scambiare anche solo due chiacchiere informali. «Il restauratore non fa un lavoro solo materiale, ma di conoscenza: servono archivisti e storici dell’arte. È naturale che mi piacerebbe coinvolgere intelligenze calabresi, ma spesso mi rivolgo a professionisti di altre regioni, molti vengono dall’Università della Tuscia, a Viterbo. Mi dispiace che qui non si faccia rete – commenta ancora Mantella – e che si lavori in modo troppo individualistico. Io vorrei coinvolgere la mia regione nelle celebrazioni del quarto centenario di Preti: la mia idea è portare le sue opere in giro per le 5 province calabresi e restaurarle offrendo un servizio didattico, magari anche ripetendo l’esperienza del web che stiamo proponendo qui a Cosenza. Con le istituzioni calabresi ci sarà a breve un incontro, ma siamo in ritardo. Un esempio? Le istituzioni e la politica dovrebbero aiutare figure come quelle del diagnosta, un tecnico qualificato a cui servono macchinari da centinaia di migliaia di euro».

E IL CAVALIER CALABRESE
ACCOGLIE I TURISTI A MALTA   
«Credo che sia arrivato il momento di “sprovincializzare” Mattia Preti: non è solo una figura tavernese o calabrese, ma di caratura europea». Mantella ha studiato il percorso, artistico e umano, che ha condotto il pittore dall’Italia a Malta. Il suo fu un vero e proprio «salto»: a Napoli era arrivato da Roma con il grado più basso (cavaliere di obbedienza) del notabilato al quale la sua famiglia, già nobile, era stata declassata dopo un calo di rendite e proprietà. Diventare “cavaliere” significava riscattarsi: farlo con la propria sapienza artistica è un sogno che Preti realizza. Dipinge le porte della città con un’Immacolata, quella che aveva salvato la città campana dalla peste scoppiata nel 1656. E qui il destino imbocca una strada che lo condurrà ai trionfi maltesi. Al riscatto. Un cavaliere, il gran maestro De Redin, cerca il «miglior pennello» cui commissionare un “San Francesco Saverio” per la Concattedrale di San Giovanni (l’opera è stata appena restaurata da Mantella): nel 1658 Preti lo realizza a Napoli e lo porta a Malta. Dall’anno seguente è quasi stabilmente sull’isola: s’ingrazia i cavalieri italiani ai quali regala un “Martirio di Santa Caterina d’Alessandria” (la loro patrona) di 12 metri quadri, oggi sul Monte Sinai nel monastero che custodisce le sue reliquie. Puntualmente, ecco la “promozione” al secondo grado: cavaliere di grazia. Forte di una straordinaria rapidità nella realizzazione delle opere, riesce nel frattempo a ultimare i disegni per il progetto della chiesa di Santa Caterina, la chiesa degli italiani a Malta, attualmente in fase di restauro (a novembre la fine dei lavori, cui sta partecipando da consulente anche Fabio De Chirico, soprintendente Bsae della Calabria). Il 1661 è l’anno in cui prende forma il progetto di una volta dipinta nella chiesa di San Giovanni: «Una Cappella Sistina del barocco – commenta Mantella – che Preti completò nel 1666». Dieci anni dopo, la peste arriva anche a Malta. Finita l’epidemia è ancora un cavaliere, Cottoner, a commissio- nare al pittore calabrese la chiesa di Sarria a Floriana che sarà progettata da lui e ne conterrà i dipinti su tela. All’interno, l’artista penserà di riprendere lo schema della Madonna dipinta a Napoli al termine della peste di vent’anni prima: il restauro di quella tela, grande 15 metri quadri, è iniziato due settimane fa.
Altre otto opere di Preti, tra cui il celebre “San Sebastiano” (simile alle due versioni conservate proprio a Palazzo Arnone e a Capodimonte), verranno restaurate grazie alla sponsorizzazione dell’aeroporto di Malta: da ottobre saranno in mostra nel “cantiere aperto” all’interno del settore partenze. Il turista si trasformerà così nel viaggiatore che viene introdotto alla storia dei luoghi visitati. A chi solca i cieli italiani, invece, non resta che accontentarsi delle terga dei bronzi tridimensionali di cui sono disseminati i nostri aeroporti: meglio gli effetti speciali che la storia dell’arte.

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