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Smettiamo di giocare al Monopoli

Da una parte, il governo produce a rate la manovra finanziaria pretesa dall’Ue. Dall’altra, le opposizioni propongono (finalmente) alternative di pregio (tra tutte, patrimoniale e trasparenza dei p…

Pubblicato il: 18/08/2011 – 17:34
Smettiamo di giocare al Monopoli

Da una parte, il governo produce a rate la manovra finanziaria pretesa dall’Ue. Dall’altra, le opposizioni propongono (finalmente) alternative di pregio (tra tutte, patrimoniale e trasparenza dei patrimoni nel modello Unico). A margine, le rappresentanze sociali, che si differenziano tra modifiche mirate e critiche generiche. Di fronte, i destinatari dei prelievi fiscali, afflitti dalla maggiore povertà che incombe sulle famiglie. In mezzo, la crisi che incrementa ogni giorno la dimensione delle vittime della speculazione, soprattutto i risparmiatori privati che hanno investito sul debito pubblico.
Tutto l’occidente è sotto lo schiaffo delle verità finanziarie che via via emergono. I saldi dei debiti sovrani dimostrano che molti Stati industrializzati consuntivano economie tanto compromesse da non essere in grado da risolvere da soli i loro problemi. Nel nostro, peggio che altrove, fatta eccezione per gli Stati già in default acclarato (Grecia & C.).
Le cause. Si è vissuto, ovunque, al di sopra delle possibilità. Si sono tollerati i numeri truccati, aggiustati alla bisogna. Non si è considerato il ricorrente deficit di bilancio, che – a distanza di anni – ha prodotto l’enormità dell’attuale debito pubblico. Quest’ultimo trattato, fino ad ieri, come se fosse inesistente. Come se fosse un problema degli altri e non già il nostro.
Al sud. Peggio che altrove, atteso che la rappresentanza politica è detenuta (spesso) dai gregari. Dai portatori d’acqua e non di idee, capaci solo di intercettare a tutti i costi il consenso. Magari, sottraendo ai cittadini, impoveriti dei loro diritti costituzionali, il libero esercizio del loro voto, ma (spesso) anche la dignità. Il condizionamento esistenziale (lavoro, pensione di invalidità, posto letto in ospedale, ecc.) è una brutta bestia, dalla quale è difficile disintossicarsi!
Del resto, alla politica, quella più pensante (!), l’esistente faceva comodo, considerati i successi elettorali, garantiti nei territori asserviti, affollati dai clienti e (spesso) dalle amicizie malavitose.
Perché cambiare, dunque? Perché andare alla ricerca dei nuovi percorsi e, quindi, disperdere gli “investimenti” fatti in anni di “onorato” servizio?
Meglio godersi il tesoro capitalizzato nei vecchi vizi che contraddistinguono l’attuale sistema istituzionale, fatto di corti periferiche messe a capo di istituzioni territoriali e da una burocrazia (spesso) asservita a tal punto da lavorare per la politica dominante, cui si deve “riconoscenza”.
Tutto questo ha fatto in modo che non si lavorasse per il cambiamento funzionale a trasformare il sistema della Repubblica, sì da renderlo consono alle nuove sfide internazionali, che la globalizzazione impone.
Quindi, alle esigenze di trasformazione, di riforme strutturali, di ripristino dello stato di diritto hanno fatto da contraltare il parlare tanto a vuoto da distogliere l’attenzione dai problemi reali.
Ciò è durato fino a quando è venuto fuori il dramma dei conti, la sindrome argentina. Lo stato di incertezza dei rimborsi dei titoli di Stato, ma soprattutto la perdita di credito internazionale seguita dall’aut aut della Ue.
Al tentativo di manovra di luglio, cui le opposizioni hanno garantito il non ostruzionismo, ha fatto seguito la diffida istituzionale. Il governo ha ristretto i tempi, artatamente utilizzati per spalmare le nuove entrate da contrapporre al deficit. Vistosi scoperto nel marchingegno, invero ingenuo, di coprire i “buchi” con poste creditorie da esigere negli anni successivi, ha anticipato al 2013 il pareggio di bilancio. Una previsione tanto necessaria da prevederne l’obbligo in Costituzione.
Nella manovra di agosto ha individuato misure erariali, alcune delle quali discutibili sul piano dell’equità. Ha avviato il processo della privatizzazione delle imprese locali gestite/partecipate dai Comuni, ma anche delle grandi società pubbliche nazionali. Ha balbettato una riforma istituzionale, che sta producendo un confronto nelle regioni del sud a dire poco vergognoso.
Riforme istituzionali. Sull’argomento la politica dimostra tutta la sua maturità e il suo stato di consapevolezza tecnica. Ovviamente, nel senso più ironico possibile.
La politica nazionale. Mette da parte i veri problemi. Quelli che generano la spesa, divenuta oramai incontrollabile. Fa finta di nulla sulla inutilità delle regioni speciali, alle quali è consentito di tutto, e gioca con la riduzione delle province. Un problema serio, trattato come se si stesse giocando al Monopoli. Trascura, invece, il grande tema che riguarda il dispendio di risorse prodotto dalle regioni. In proposito si farebbe bene a ridisegnarle da capo, magari partendo dallo studio della Fondazione Agnelli e dalle idee di Gianfranco Miglio.
I politici del Mezzogiorno. Sono in molti a fare di peggio. Propongono assemblaggi di Province e accorpamento di siti istituzionali regionali, piuttosto che pensare a come, invece, farli funzionare bene. Ma anche ad eliminare quelle retribuzioni che rendono in nostri consiglieri campioni d’incasso nazionali, subito dopo della Sardegna.
Debito pubblico in soffitta. Tutte le misure in campo fanno poco o nulla per il debito pubblico, cui bisogna rimediare. Necessitano misure che consentano di fare cassa (e tanta) con le dismissioni a prezzi di mercato dei gioielli pubblici. Non solo, occorre spendere meno di quanto si incassa e incassare di più di quanto si produce oggi. Quindi, misure che incidano sulla crescita, della quale non v’è neppure l’ombra.
Questa è la sfida, alla quale la Calabria deve dare il suo contributo propositivo!

* Docente Unical

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