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I segreti dietro un`autopsia mai disposta

Esaminando con attenzione le tragiche vicende che hanno portato alle morti di Maria Concetta Cacciola, di Tita Buccafusca e di Orsola Fallara, non è difficile ravvisare degli elementi in comune. Ci…

Pubblicato il: 23/08/2011 – 9:07
I segreti dietro un`autopsia mai disposta

Esaminando con attenzione le tragiche vicende che hanno portato alle morti di Maria Concetta Cacciola, di Tita Buccafusca e di Orsola Fallara, non è difficile ravvisare degli elementi in comune. Circostanze che non possono fare a meno di sollecitare una serie di riflessioni da parte degli organi d’informazione e, soprattutto, di quelli inquirenti.
Partiamo da uno spunto. Ci domandiamo se sia un caso che, nel volgere di pochissimi mesi, tre donne, tutte calabresi, tutte invischiate – chi più, chi meno – in indagini giudiziarie abbiano deciso di togliersi la vita. E, dalla prima all’ultima, abbiano scelto di farlo – questo è il particolare più rilevante – utilizzando un metodo agghiacciante: l’ingestione di acido.
Si tratta di storie molto diverse l’una dall’altra, ma accomunate da un finale drammatico che convince assai poco. Perché c’è un’evidente contraddizione nel comportamento di una donna che annuncia di voler collaborare con la giustizia per assicurare un futuro diverso ai suoi figli, e poche settimane dopo decide di uccidersi, abbandonando al loro destino quegli stessi bambini che avrebbe voluto proteggere. È tutto molto strano e molto distante dal comportamento che ci si attenderebbe, per logica e per innato istinto, da una qualsiasi madre.
I dubbi vengono alimentati da un secondo elemento di valutazione, costituito dalle modalità scelte per farla finita: un sorso (oltre quello è impossibile bere, trattandosi di una sostanza che brucia tutto istantaneamente) di acido muriatico. Perché proprio questo tipo di decisione? Perché sottoporsi a un’atroce sofferenza del genere, con il “rischio” di non riuscire neanche nell’intento suicida, limitandosi ad arrecare a se stessi danni permanenti gravissimi?
No, tutto questo non convince. Chi vuole farla finita non beve l’acido. Se è affetto dal male di vivere, se è sopraffatto da una situazione che non riesce a reggere, si punta un revolver alla tempia o si lascia cadere nel vuoto. Se vuole “punirsi” per aver commesso un errore, sceglie la corda. L’acido no, è altro. È, fisicamente e metaforicamente, un modo per tappare la bocca a qualcuno.
Come è stata tappata quella di Orsola Fallara, la dirigente del Comune di Reggio che ha portato con sé i misteri del bilancio dell’amministrazione di Palazzo San Giorgio. Anche in questo caso, le stranezze sono tante. La prima: perché dopo la morte si decise di non effettuare l’autopsia sul corpo senza vita della professionista? C’erano infatti tutti i presupposti perché venissero disposti gli accertamenti medico-legali che forse avrebbero potuto chiarire meglio le cause e le modalità di un suicidio che, per molte settimane, è stato considerato non solo indotto, ma addirittura simulato per depistare l’opinione pubblica rispetto alla reale causa della morte della donna. La seconda stranezza: perché non è stato aperto un fascicolo dalla magistratura per l’ipotesi di reato che sul codice penale è rubricato come “istigazione o aiuto al suicidio”? La terza: perché mai una donna che convoca una conferenza stampa, sfidando tutti con uno scatto d’orgoglio per continuare a difendere il proprio operato, dovrebbe togliersi la vita poco dopo? Che senso aveva, allora, convocare i giornalisti?
Su Tita Buccafusca e su Maria Concetta Cacciola, forse, l’attività investigativa a qualcosa porterà. Se non altro a capire se si sia trattato davvero di suicidi, oppure no. Nella vicenda della Fallara, che ha maggiormente colpito l’opinione pubblica calabrese, si è frettolosamente imboccata la strada dell’oblio. Perché il caso non solo è stato chiuso, ma in realtà non è mai esistito.

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