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Caso Cacciola, indaga la Procura dei minori

REGGIO CALABRIA La Procura dei Minori di Reggio Calabria ha aperto un fascicolo sul caso della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola, suicidatasi sabato scorso ingerendo acido muriatico. L…

Pubblicato il: 27/08/2011 – 8:13
Caso Cacciola, indaga la Procura dei minori

REGGIO CALABRIA La Procura dei Minori di Reggio Calabria ha aperto un fascicolo sul caso della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola, suicidatasi sabato scorso ingerendo acido muriatico.
La donna era tornata pochi giorni prima a Rosarno dopo aver abbandonato la località protetta.
Aveva scelto di collaborare con la giustizia perché voleva allontanarsi dall’ambiente in cui è cresciuta, dalla famiglia che, a suo dire, la maltrattava non consentendole di avere una vita normale.
Quasi impossibile in una cittadina, come quella della Piana di Gioia Tauro, in cui la ‘ndrangheta detta legge. In cui le cosche Bellocco e Pesce sono per molti al pari delle istituzioni. Lo Stato è percepito come troppo lontano per chi, come Maria Concetta, è nata in una famiglia legata ad esponenti di primo piano dell’onorata società. Dopo essersi nascosta a Cosenza, a Bolzano e a Genova, la testimone voleva riabbracciare i figli che, da maggio ad agosto, erano rimasti con i nonni. In fondo, per loro,aveva saltato il fosso. E sempre per loro voleva ritornare indietro.
Con un marito in carcere a scontare una condanna a 8 anni per associazione mafiosa, sarebbe stato normale che i tre figli seguissero la madre. Era lei che, in quel momento, esercitava la patria potestà su di loro che non sarebbero dovuti rimanere in quell’ambiente dal quale la donna stava scappando.
Se la madre che collabora finisce sotto protezione e i figli restano con il nonno, Michele Cacciola cognato del boss Gregorio Bellocco, allora è evidente che qualcosa nel sistema non ha funzionato. Di tutto questo, fino alla notizia apparsa sui giornali, il procuratore dei Minori Carlo Macrì non ne sapeva nulla. Magari la procedura, per motivi di riservatezza, non obbliga la Dda e il Servizio centrale di protezione a informare gli uffici requirenti di via Marsala in merito alla nuova collaborazione, ma il dato di fatto è che tre minorenni sono stati a Rosarno senza la madre per tre mesi.  
«Fino al giorno del suicidio, – ha affermato infatti il procuratore Macrì – nei nostri uffici non c’era una pratica aperta su questo caso. Qualcuno avrebbe dovuto segnalarci la situazione. Abbiamo aperto un fascicolo e, per capire cosa è successo, abbiamo chiesto una relazione ai carabinieri e ai servizi sociali di Rosarno».
Con il suicidio di sabato scorso, comunque, si riapre il dibattito sulla gestione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia. Maria Grazia Cacciola non è l’unica donna ad avere aperto uno squarcio nelle cosche della Piana. Qualche mese prima c’è stata Giuseppina Pesce, pure lei di Rosarno e appartenente a una delle più temute famiglie di ‘ndrangheta.
«Anche per i figli della Pesce – conclude il procuratore dei Minori Carlo Macrì – c’è una situazione simile. La collaboratrice vorrebbe portarli via da Rosarno».

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