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Pari opportunità percorso in salita

So bene che il tema dell’eguaglianza fra donne e uomini nell’accessoalle cariche elettive e agli uffici pubblici – in quanto tematecnico-giuridico oltre che politico-culturale – costituisce unargom…

Pubblicato il: 26/09/2011 – 17:24
Pari opportunità percorso in salita

So bene che il tema dell’eguaglianza fra donne e uomini nell’accesso
alle cariche elettive e agli uffici pubblici – in quanto tema
tecnico-giuridico oltre che politico-culturale – costituisce un
argomento di riflessione capace di selezionare di per sé il pubblico dei
lettori, per ragioni diciamo di genere; farlo a metà del mese di agosto
a qualcuno può risultare perfino eccentrico. Ci proviamo comunque,
spinti da un paio di sentenze di giudici amministrativi (Tar Campania,
sent. 7 aprile 2011 e Tar Sardegna, sent. 29 giugno 2011) che meritano
di non passare inosservate. A queste due occorrerebbe aggiungere la
recente sentenza del Tar Lazio, che ha annullato la giunta capitolina, a
causa di una presenza non equilibrata tra donne e uomini. Secondo il Tar
Lazio, «appare difficile ipotizzare, sul piano della ragionevolezza e
della razionalità, che la presenza nella giunta capitolina di un’unica
donna, sebbene impegnata in un ruolo di rilievo, possa garantire
un’adeguata attuazione dell’equilibrio di genere nella rappresentanza …
(in tal modo deducendosi) … non tanto, e non solo, la frustrazione del
principio costituzionale generale delle pari opportunità, quanto la
violazione della specifica norma introdotta dallo Statuto del Comune di
Roma che, nella disciplina della formazione della giunta, impone al
sindaco, nella nomina degli assessori, di assicurare la presenza
equilibrata dei due sessi». Non abbiamo ancora letto le motivazioni di
questo Tar e pertanto ci limiteremo ora a riflettere sulle sole due
sentenze del Tar campano e di quello sardo.
In ambedue i casi, ritenendo fondati i motivi prodotti dalla difesa
delle donne contro la legittimità della composizione della giunta
regionale campana e della giunta regionale sarda, i giudici
amministrativi ne hanno accolto il ricorso, procedendo all’annullamento
degli atti di nomina dei due esecutivi (rispettivamente Caldoro e
Cappellacci) ed ordinando che le relative sentenze fossero eseguite
dall’autorità amministrativa. L’auspicio è che le donne italiane,
singole (è il caso della ricorrente pubblica amministrazione napoletana che ha impugnato gli atti di costituzione della giunta campana) o riunite in associazioni
femminili (è il caso del ricorso promosso dall’associazione Amistanzia e
dall’associazione Noi Donne 2005, più di recente, contro gli atti di
costituzione della giunta sarda) decidano di inserire lo strumento
legale del ricorso al giudice amministrativo per vedersi riconosciuto
ciò che al momento appare più complesso e difficile (ma non certo
impossibile, per come vedremo) a livello di accesso alle cariche
rappresentative, a partire dai consigli comunali per finire con il
Parlamento nazionale e quello europeo.
Non possiamo certo svolgere una trattazione tecnica di una questione che
come si può vedere si presenta complessa ed anche di una qualche (almeno
apparente) contradditorietà. I giudici innanzi ai quali si sono
presentate le donne per rivendicare il loro diritto ad accedere alle
cariche elettive e agli uffici pubblici, per come previsto dall’articolo 51
della Costituzione, hanno negato l’esistenza di una azionabilità
giudiziaria del diritto quando si è trattato di riconoscere la pari
opportunità nell’accesso alle cariche rappresentative (consigli locali,
Parlamento). Per la Corte costituzionale, in materia, non sussistono
dubbi di sorta. Il sesso non costituisce motivo di condizionabilità
della libertà politica, cioè del diritto ad essere votati o a votare
propri rappresentati negli organi rappresentativi (sentenza n. 422/1995).
Per la Corte costituzionale, in tale ottica, violano la Costituzione e
al suo interno il principio di eguaglianza inteso come divieto di
discriminazione in base al sesso tutte quelle leggi che prevedano
“quote” destinate ad assicurare una sia pur contenuta presenza di donne
negli organi elettivi. L’unica strada percorribile alla “democrazia
paritaria”, a mente del giudice delle leggi, è la determinazione,
nell’ambito del procedimento di formazione delle liste elettorali, di
previsioni statutarie e di scelte politiche nelle quali, liberamente,
i partiti o i gruppi elettorali stabiliscano forme di alternanza
uomo-donna nelle liste o altri meccanismi similari per assicurare una
pari opportunità alle donne.
A nostro giudizio e a giudizio di autorevole dottrina (Lorenza
Carlassare), la Corte, nella sua decisione (sentenza n. 422/95), non sembra
aver colto il problema sollevato nella causa, ponendo la questione in
termini di “quote”, cioè di risultati elettorali (e ipotizzando a tale
fine di essere in presenza di una predeterminazione del numero di
seggi), piuttosto che in termini di pari opportunità. E dunque – avendo
mal posto il problema – ha concluso che non si può parlare di quote,
perché queste ultime costituiscono una inaccettabile discriminazione
positiva nel campo elettorale, in quanto vanno a nuocere un’aspettativa
di pari opportunità dell’uomo nella candidatura. La Corte sembra aver
omesso di ricordare come nella questione sottopostale non si parlasse di
seggi ma di mera candidabilità. In altri termini, la posta in gioco non
era di certo il “risultato”, ma una condizione di possibile successo
alle cariche elettive.
Questo orientamento della Corte, nel fondo, non è cambiato nel corso del
tempo. Per il giudice delle leggi risulta rispettoso del principio
egualitario anche quella legge regionale aostana (a cui si è conformata
la legge elettorale calabrese) secondo la quale la rappresentanza
politica regionale deve includere almeno una presenza femminile (mi
scuso con i tecnici della materia per il modo di rendere questo concetto
il più semplice e accessibile). Di qui le statistiche che vedono la
rappresentanza politica femminile nel Paese, a prescindere da istanze
rappresentative dei diversi territori, occupare posizioni bassissime, in
concorrenza con le situazioni rappresentative di alcune statualità
dell’Africa. Rispetto a questa “ostilità” della Corte
costituzionale nel leggere i principi della democrazia paritaria la
novità giuridica più significativa è ora costituita dal Trattato di
Lisbona, che accoglie al suo interno, con la stessa forza giuridica dei
trattati comunitari, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea. L’articolo 23 di questa Carta stabilisce che «il principio di
parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano
vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato». Il varco che
si apre per pratiche politiche e giuridiche di democrazia paritaria in
Italia e in Europa risulta opaco solo a chi non vuole aprire gli occhi
di fronte al “costituzionalismo a più livelli” di fronte al quale oggi i
diritti (e la democrazia) vengono a ritrovarsi. In altri termini, nulla
oggi osta alla pratica di politiche (anche temporanee) volte ad
assicurare obiettivi di democrazia paritaria effettiva. Questo è quanto
riguarda il livello della rappresentanza e dunque il livello
politico-costituzionale della questione in discussione.
I giudici amministrativi, da parte loro, non hanno avuto bisogno di
svolgere argomentazioni granché complesse per dichiarare l’illegittimità
degli atti alla base della costituzione dell’esecutivo campano e di
quello sardo. L’argomento principe – invero meglio approfondito dal Tar
campano rispetto a quello sardo – risiede nella motivazione da parte del
giudice amministrativo circa la natura della nomina degli assessori
regionali come «atto soggettivamente e oggettivamente amministrativo».
In quanto atto amministrativo e non politico, tale atto, per come
argomenta il Tar campano, è sottoposto al ri
spetto del principio di
legittimità procedimentale e sostanziale «che delimitano l’esercizio del
potere presidenziale (della giunta regionale) e che, per quanto in
questa sede è stato denunciato, non sono stati osservati in relazione al
vincolo concernente la composizione, per sesso, della compagine
assessorile». Il Tar, in altri termini, non ha dubbi di sorta
nell’assumersi pienamente legittimato ad adottare la sentenza
dichiarativa della illegittimità degli atti, senza che questi potessero
essere invocati come non sindacabili in quanto ascrivibili a scelte di
rilievo politico e costituzionale. Ad ulteriore supporto di tale
orientamento, il Tar campano invoca la disposizione dello Statuto
regionale (articolo 46, III co.), secondo la quale il «presidente della
giunta regionale … nomina, nel pieno rispetto del principio di una
equilibrata presenza di donne ed uomini, i componenti la giunta». Lo
Statuto campano, in questo caso introduce un evidente correttivo al
principio di pari opportunità, che diviene principio di “equilibrata
presenza” di donne e uomini nella composizione dell’esecutivo. Si può
ricordare cha la Corte costituzionale (sentenza n. 4 del 2010), nel fondo,
ha riconosciuto la conformità costituzionale della disposizione
statutaria, finalizzata, per come si è visto, ad una «azione positiva di
riequilibrio in ambito politico delle presenze dei due sessi con
riferimento alla composizione della giunta regionale, dove un analogo
problema di rispetto dei diritti fondamentali di elettorato non si pone»
(Tar Campania). Non si è trattato di una svolta giurisprudenziale
diremmo epocale, se l’esito a cui è approdata una simile azione legale
in Campania è quello di una giunta formata «da undici uomini ed una sola
donna». Vedremo a quali esiti approderà in Sardegna, al momento della
composizione della nuova giunta. Il governatore sardo ha immediatamente
dichiarato che «rispetterà la sentenza», il presidente del consiglio
regionale, a sua volta, ha plaudito alla piena applicazione dell’art. 51
della Costituzione «… fissando il principio che l’equa rappresentanza
non è una questione di genere ma un problema di qualità della nostra
democrazia». Si può essere d’accordo nell’assumere una fungibilità fra
“equa rappresentanza” e “parità rappresentativa uomo-donna”?
Naturalmente no, senza tuttavia dimenticare che l’eguaglianza come la
democrazia sono percorsi fatti di gradualità. Per il momento pare che
bisogna accontentarsi!
* docente Unical

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