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Caso Cisterna, la Procura generale non avoca l`inchiesta

La Procura generale di Reggio Calabria non ha avocato l’inchiesta sul procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia Alberto Cisterna, indagato per presunti rapporti con il boss Luciano L…

Pubblicato il: 04/10/2011 – 12:48
Caso Cisterna, la Procura generale non avoca l`inchiesta

La Procura generale di Reggio Calabria non ha avocato l’inchiesta sul procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia Alberto Cisterna, indagato per presunti rapporti con il boss Luciano Lo Giudice in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice, detto il “nano”. Lo stesso che si è autoaccusato delle bombe esplose in via Cimino e sotto casa del procuratore generale Salvatore Di Landro.
L’indagine, quindi, resta sulla scrivania del procuratore capo Giuseppe Pignatone e del sostituto della Dda Beatrice Ronchi.
Lo ha deciso il sostituto procuratore generale Fulvio Rizzo che, stamattina, ha depositato il provvedimento rigettando la richiesta formulata il 13 agosto scorso dagli avvocati di Cisterna secondo il quale c’era un’incompatibilità del pm Ronchi nel coordinare l’indagine.  
Stando al documento, vistato dal procuratore generale Salvatore Di Landro, «le censure sulla gestione del processo nei confronti della dottoressa Ronchi, contenute nell’esposto di Cisterna, vanno esaminate alla luce delle informazioni riferite dalla Procura di Catanzaro» dove «allo stato delle acquisizioni investigative la detta Procura non si è autodeterminata a procedere all’iscrizione della stessa al registro quale indagata, anzi, attesa l’equivocità delle rilevanze, ha preso l’esposto in carico al Registro atti modello 45».
In sostanza, secondo Cisterna, a indagare non poteva essere la Ronchi alla quale avrebbe fatto riferimento il boss Luciano Lo Giudice durante una conversazione intercettata a Tolmezzo. Il nome del pm, inoltre, era  stato fatto dal pentito Nino “il nano” nel verbale del 13 ottobre 2010 («La dottoressa Ronchi era sotto le mani nostre che faceva quello che volevamo noi»).
A proposito, scrive il sostituto procuratore generale Rizzo: «È comprensibile che da una trascrizione per riassunto e spezzoni di frasi, della conversazione intercettata a Tolmezzo, che riporta la frase, come correttamente richiamata a pagina 9 dell’esposto-richiesta di avocazione, si traggano valutazioni diverse rispetto a quelle che possono farsi se si legge la trascrizione integrale riportata nell’informativa della Squadra Mobile del 7.4.2011. Così come totalmente diverso è il contenuto delle dichiarazioni rese da Lo Giudice Antonino il 13.10.2010 in alcuni salienti passaggi che interessano proprio la dottoressa Ronchi, nel testo inizialmente conosciuto ed ora rettificato nel passaggio più critico. Va dato atto in questo caso che l’incaricata della trascrizione ha rettificato, con dichiarazione sottoscritta il 28.09.2011, il passaggio che si riferisce alla Ronchi nel testo delle dichiarazioni del Lo Giudice Antonino, fornendo una trascrizione, rivista e corretta, che letteralmente inverte la posizione del pm. L’ascolto del relativo file audio presenta un’obiettiva difficoltà di comprensione in alcuni passaggi, ma sul piano logico, la lettura rettificata appare congruente».
Se da una parte, quindi, la Procura generale non avoca l’inchiesta su Cisterna, dall’altra puntualizza «l’equivocità dei contenuti delle dichiarazioni e conversazioni, da cui hanno tratto il convincimento di un chiaro riferimento al coinvolgimento della dottoressa Ronchi in illecite connivenze con la cosca Lo Giudice o altri soggetti a questa contrapposti in illeciti affari».
Questo, secondo i magistrati di Piazza Castello, spiegherebbe anche la mancata iscrizione del pm Ronchi nel registro degli indagati da parte dei colleghi del capoluogo di regione, competenti sulle indagini che riguardano i magistrati reggini: «Si comprende quindi la perplessità e la prudenza dimostrata dalla Procura di Catanzaro, che, con tutta evidenza, con l’iscrizione al registro atti, ha condiviso, allo stato, l’equivocità di riferimenti individuali espressi dagli interlocutori, quali risultanti da trascrizioni in forma riassuntiva o se trascritte integralmente riportanti espressioni che si pongono in contrasto logico con altre del medesimo soggetto all’interno dello stesso contesto».
Tutti elementi che «non consentono di affermare che sia sussistente “l’interesse personale nel procedimento”. Ed in questa sede non assume alcuna rilevanza l’attendibilità e la valutazione della sussistenza o meno di riscontri alle dichiarazioni accusatori, pur compendiate nell’informativa della Squadra Mobile del 25 luglio 2011, ovvero quale sia la fondatezza delle contestazioni, e se gli atti di indagine siano adeguati. Né può essere presa in considerazione la circostanza che la Procura generale della Cassazione abbia trattenuto copia degli atti e l’originale della memoria in data 1.9.2011 per gli “accertamenti disciplinari”, atteso che solo la pendenza di un procedimento disciplinare, se peraltro riferibile a determinate condotte e specifici soggetti, potrebbe in questa sede essere oggetto di valutazione».
Le intercettazioni, quindi, sono state rettificate. I verbali del pentito Nino Lo Giudice, trascritti una seconda volta, hanno svelato scenari completamente diversi rispetto a pochi mesi fa, quando era il collaboratore di giustizia a cambiare continuamente versione.

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