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Un collaboratore credibile: Lombardo lo ha sentito trenta volte

REGGIO CALABRIA È da un anno che Roberto Moio ha deciso di collaborare con la giustizia. Il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Lombardo lo ha sentito almeno trent…

Pubblicato il: 20/10/2011 – 15:55
Un collaboratore credibile: Lombardo lo ha sentito trenta volte

REGGIO CALABRIA È da un anno che Roberto Moio ha deciso di collaborare con la giustizia. Il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Lombardo lo ha sentito almeno trenta volte nel carcere di Rebibbia durante i 180 giorni utili al pentito per rendere dichiarazioni.
Il pm reggino aveva subito compreso di avere per le mani, dopo molti anni, una gola profonda, un mafioso che conosce la `ndrangheta dall`interno, uno dei “fuoriusciti” dalla pancia dei Tegano di Archi.
«Voglio dire tutta la verità e collaborare con la giustizia». Il 29 settembre 2010 nel carcere di San Pietro a Reggio Calabria è calato il silenzio. Stava per iniziare il suo interrogatorio di garanzia davanti al gip che aveva firmato il suo arresto nell`ambito dell`inchiesta “Agathos”. In pochi minuti l`avvocato Francesco Calabrese ha rinunciato all`incarico. Il cancelliere ha avvertito il pm Lombardo che si è precipitato in carcere.
La cosca Tegano si è ritrovata all`improvviso un pentito tra i suoi affiliati: il nipote diretto dei boss Giovanni e Pasquale Tegano.
Roberto Moio infatti aveva sposato Giovanna Polimeni, figlia di Vittoria Tegano.
Il suo nome compare in numerose inchieste della Dda come “Olimpia” e “Bumma”. Di Moio, già nel 1993, aveva parlato il collaboratore di giustizia Giovanni Riggio che, ai magistrati del pool, lo aveva indicato tra gli affiliati alla cosca Tegano.
Non è un caso, infatti, che a distanza di un anno dall`inizio della collaborazione, Moio si stia rivelando una vera e propria mannaia per quella che il gip dell`inchiesta “Meta” ha definito la «super associazione» costituta dalle famiglie mafiose De Stefano, Condello, Tegano e Libri. Un convitato di pietra che, in città, decide tutto.
È Moio che, al pm Lombardo, ha ricostruito l’organigramma delle cosche, quelle che comandano a Reggio: una ‘ndrangheta che si rivela il punto di riferimento di una città-pantano, non solo degli affiliati ma anche degli imprenditori asserviti e dei politici corrotti.
In passato confidente della squadra Mobile, Moio è uno di quelli di cui Giovanni Tegano aveva massima fiducia. È stato lui ad accompagnare il boss ‘Ntoni Nirta a casa degli Alvaro, garanti della pace del 1991. Ed è stato sempre lui, su incarico di Pasquale Tegano, a riferire a tutte le cosche legate ai De Stefano che la guerra era finita, che «le cose si erano aggiustate e non bisognava sparare più».
Oltre a decine di omicidi, infatti, il pentito ha raccontato un episodio inedito per gli inquirenti: l`incontro tenuto di notte sulla collina di Archi tra i boss Pasquale e Domenico Condello, Giovanni e Pasquale Tegano, Orazio e Giuseppe De Stefano. Siamo nel 1991. Un abbraccio e un pianto per i quasi mille morti ammazzati della seconda guerra di mafia. I padroni di Reggio avevano fatto pace. Non si sarebbe sparato più in riva allo Stretto. La città era, e rimane, cosa loro. Era arrivato il momento di pensare agli affari. Erano passati sei anni dall’autobomba contro il boss Nino Imerti e dall’omicidio eccellente di don Paolino De Stefano. Nel mezzo un fiume di sangue che, da quel momento in poi, sarebbe stato sostituito dagli affari per i quali il rapporto con la politica è diventato fondamentale.
Ecco perché le dichiarazioni di Moio, rese ieri in aula durante il processo “Testamento”, hanno fatto tremare i polsi a parecchi politici reggini. Un terremoto che mina le fondamenta dei palazzi del potere.

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