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«Il fortino dei Condello ristrutturato dal Comune di Reggio»

REGGIO CALABRIA Il colonnello Valerio Giardina ha iniziato la sua deposizione nel processo “Meta” che si sta celebrando davanti al Tribunale di Reggio Calabria e che vede alla sbarra il gotha della…

Pubblicato il: 21/10/2011 – 12:28
«Il fortino dei Condello ristrutturato dal Comune di Reggio»

REGGIO CALABRIA Il colonnello Valerio Giardina ha iniziato la sua deposizione nel processo “Meta” che si sta celebrando davanti al Tribunale di Reggio Calabria e che vede alla sbarra il gotha della ’ndrangheta reggina.
Rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo e del presidente Silvana Grasso, l`ufficiale dei carabinieri (all`epoca comandante del Ros di Reggio Calabria) sta ricostruendo le fasi di indagine che hanno portato alla cattura del latitante Pasquale Condello, il boss dei boss conosciuto con il soprannome di “Supremo”, catturato a Pellaro il 18 febbraio 2008. In particolare, nella prima fase della deposizione, il colonnello Giardina ha spiegato che «l`arresto di Pasquale Condello non è solo quello di un grande criminale, non è solo un arresto importante dal punto di vista simbolico. La sua cattura non avviene all`improvviso un bel giorno. Ma è il risultato di un progetto iniziato nel 1997 (e voluto dal generale Ganzer, ndr). Il Ros la condotto le fasi delle indagini dal 1997 al 2001 per poi riprenderle nel 2006. Questo ha consentito di conoscere le dinamiche logistiche sulle quali poggiava la ventennale latitanza di Condello Pasquale che si muoveva indisturbato e in maniera scientifica sul territorio. La moglie era riuscita a raggiungere il marito per ben 8 volte dal 1999 al 2001. Nel 1996 in occasione di alcune perquisizioni notturne venivano ritrovate a casa dei Condello delle fotografie del latitante. Soggetto centrale di questa struttura era Giovanni Barillà, genero di Pasquale Condello e marito della figlia». Il teste, che ha firmato la famosa informativa finale in cui sono emersi i rapporti tra la `ndrangheta e la politica reggina, ha infine raccontato un episodio strano avvenuto nel febbraio 2006 in occasione del blitz del processo “Vertice”.
«Abbiamo proposto lo sfratto dell`immobile di via Mercatello n.11 dove abitava il nucleo familiare di Pasquale Condello – ha spiegato il colonnello Giardina – Era una struttura che noi indicavamo come il “fortino”, assolutamente inavvicinabile, da dove partivano tutti i movimenti dei favoreggiatori, nel cuore di Archi. Abbiamo scoperto che quell`immobile era stato confiscato nel 1997 e nel 2001 era già nella disponibilità del Comune di Reggio che lo avrebbe dovuto utilizzare per fini sociali. Nel 2006, però, il bene non soltanto era nella disponibilità dei Condello, ma ci si è accorti che il Comune lo stava ristrutturando grazie a un finanziamento regionale di 500mila euro. Abbiamo sentito gli amministratori, tra cui l`avvocato Zoccali, il dottore Granato e l`impiegato Partinico (se non sbaglio) ed è emersa un`inerzia da parte del Comune. Una situazione paradossale: il bene di Pasquale Condello che era stato confiscato e consegnato al Comune veniva ristrutturato con dentro i familiari del boss».

Incastrato grazie al casco
Il “Supremo” è stato incastrato da un casco. La notizia era già emersa, ma – nella seconda parte dell’udienza del processo Meta – il colonnello Giardina ha spiegato in aula come il Ros, il 18 febbraio 2008, è riuscito a mettere la parola fine alla latitanza ventennale di Condello.
L`intuito dei carabinieri si è rivelato fondamentale per scrivere uno dei capitoli più importanti della lotta alla `ndrangheta reggina. Tutto è scaturito da un errore del genero del latitante. Un gesto banale in fondo. Giovanni Barillà era stato notato dai carabinieri lasciare il casco all`interno dell`autovettura.
Un mese prima dell`arresto, nella notte tra il 18 e il 19 gennaio, i militari «hanno prelevato il casco – ha affermato il colonnello – e lo hanno portato negli uffici del Ros. Lì è stato aperto e svuotato della sua parte protettiva. Abbiamo fatto un`incisione all`interno della quale sono stati inseriti un gps e un segnalatore in radio frequenza rilevabile con un`antenna. Fatta questa operazione, il casco è stato ricoperto in maniera perfetta e ricollocato all`interno del portabagagli di Barillà».
Dall`esame del gps è, quindi, emerso che Barillà si recava a Pellaro dove, «dal 3 febbraio – ha aggiunto l`ufficiale – viene organizzata una zona di osservazione dell`area». Questo si rivela fondamentale perché il tipo di apparecchiatura montato all`interno del casco consentiva agli uomini di Giardina di poter sapere solo in un secondo momento il percorso fatto da Barillà con lo scooter. Il gps, infatti, non era collegato a un cellulare per cui, ogni 15 giorni, i carabinieri dovevano “prelevare” il casco dall`autovettura del favoreggiatore, scaricare il file del percorso e sostituire le batterie. La testardaggine del colonnello Giardina è stata premiata il 18 febbraio, quando Giovanni Barillà prende lo scooter e si dirige a Pellaro assieme a Giandomenico Condello. I due vengono intercettati dalla squadra di osservazione e dalle auto civetta del Ros sulla statale 106.
«Abbiamo visto lo scooter parcheggiato vicino a una Lancia Thesis dove sospettavamo che fosse il boss. – ha spiegato sempre il colonnello Giardina – Sessanta carabinieri sono stati impegnati sull`area. Il segnalatore radio ci ha indicato dove si nascondeva Pasquale Condello che si è qualificato immediatamente e ci ha indicato dove nascondeva la sua pistola personale. A parte qualche breve periodo, Condello è stato sempre a Pellaro dal 2004. È stata un`operazione chirurgica che si è conclusa nel migliore dei modi».
Oggi è stata la prima udienza dedicata alla deposizione del colonnello Valerio Giardina, l`ex comandante del Ros che ha condotto le indagini sulla cattura di Pasquale Condello e sui rapporti tra la `ndrangheta e la politica. Riprenderà nella prossima udienza l`interrogatorio dell`ufficiale dell`Arma che ancora deve essere sentito sulla seconda parte dell`inchiesta coordinata dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo.

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