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"Bellu lavuru", l`accusa regge anche in Appello

REGGIO CALABRIA Anche in Appello ha retto l’impianto accusatorio del processo “Bellu lavuru” nato da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, coordinata dal sostituto procuratore Giuseppe Lombard…

Pubblicato il: 04/11/2011 – 17:35
"Bellu lavuru", l`accusa regge anche in Appello

REGGIO CALABRIA Anche in Appello ha retto l’impianto accusatorio del processo “Bellu lavuru” nato da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, coordinata dal sostituto procuratore Giuseppe Lombardo, che ha fatto luce sul tentativo delle cosche del Basso Jonio reggino di gestire, in subappalto, i lavori relativi alla realizzazione alla variante all’abitato di Palizzi e la costruzione di un istituto scolastico a Bova Marina. Ventiquattro condanne e tre assoluzioni è stata la decisione della Corte d’Appello di Reggio Calabria. In particolare, la pena più pesante (7 anni di carcere) è stata inflitta a Bruno Morabito e Antonino Vadalà. Sei anni e 6 mesi di reclusione per il sindacalista Sebastiano Altomonte, Leone Morello, Giovanni Talia, Carmelo Vadalà (di 31 anni), Carmelo Vadalà (di 29 anni) e Domenico Vadalà. Sono stati condannati anche Pietro Cilione (6 anni di carcere), Domenico Mauro (6), Leone Modaffari (6), Pasquale Nucera (6), Dante Catroppa (5), Antonino Taormina (5), Vincenzo Carrozza (4 anni e 8 mesi), Francesco Cilione (4 anni e 8 mesi), Francesco D’Aguì (4 anni e 8 mesi), Terenzio D’Aguì (4 anni e 8 mesi), Domenico Morabito (4 anni e 8 mesi), Giuseppe Nucera (4 anni e 8 mesi), Francesco Spanò (4 anni e 8 mesi), Costantino Stilo (4 anni e 8 mesi), Carmelo Tuscano (4 anni e 8 mesi) e Domenico Verduci (4 anni e 8 mesi). Sono stati assolti, invece, Carmelo Dieni, Giuseppe Maisano e Saverio Modaffari. In sostanza è stata accolta la tesi del sostituto procuratore generale Francesco Mollace che aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato. È stato tuttavia rigettato il ricorso della Procura che, anche in Appello, ha riproposto l’aggravante dell’associazione armata considerando alquanto inverosimile che possa esistere un’organizzazione criminale di stampo mafioso non armata. L’accusa si fondava sulle intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno consentito alla Distrettuale di risalire ai componenti della cosiddetta “base”, un innovativo organismo mafioso che potrebbe essere paragonato a una confederazione di cosche. La “base” serviva alle varie famiglie di Bova Marina e Africo per gestire le imprese impegnate nei subappalti riguardanti i lavori della Statale 106. La Dda ha riscontrato l`esistenza di questo programma associativo comune alle famiglie mafiose che avrebbero costituito un “cartello” capace di controllare le attività imprenditoriali relative all`esecuzione di importanti opere pubbliche. Era la “base”, in sostanza, che ha garantito un equilibrio tra le consorterie facendo registrare la totale assenza di danneggiamenti o atti intimidatori che, di solito, caratterizzano la fase esecutiva dei grandi appalti. Attraverso quest’organismo – avevano scritto il procuratore Pignatone e i sostituti Mollace, Lombardo e Galletta – «sono coordinate le strategie criminali della cosca Vadalà e della cosca Talia». E a proposito del sindacalista e consigliere comunale di Bova Marina, Sebastiano Altomonte, questo «funge da anello di congiunzione tra esponenti di spicco della locale criminalità organizzata ed appartenenti al settore politico-amministrativo della fascia jonico reggina». Attraverso due imprese edili (la “I.M.C. di Costantino Stilo” e “D’Aguì Beton srl-Asfalti” che si occupano del movimento terra e della fornitura degli inerti), gli arrestati avrebbero gestito in subappalto il cantiere della “Società Italiana per le Condotte d’acqua Spa” che si era aggiudicata i lavori relativi alla realizzazione alla variante all’abitato di Palizzi. La Corte d’Appello, infine, ha disposto il risarcimento danni per la Regione Calabria, la Provincia di Reggio e i Comuni di Palizzi e Bova Marina che si sono costituiti parte civile.

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