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I Pesce tentarono di corrompere un magistrato di Cassazione

PALMI La cosca Pesce di Rosarno avrebbe tentato di corrompere un magistrato di Cassazione. È quanto ha riferito un ispettore della polizia penitenziaria, deponendo davanti ai giudici del Tribunale …

Pubblicato il: 04/11/2011 – 18:02
I Pesce tentarono di corrompere un magistrato di Cassazione

PALMI La cosca Pesce di Rosarno avrebbe tentato di corrompere un magistrato di Cassazione. È quanto ha riferito un ispettore della polizia penitenziaria, deponendo davanti ai giudici del Tribunale di Palmi nel processo “All inside” a carico dei presunti affiliati al clan, uno dei più potenti della provincia di Reggio Calabria e tra le famiglie egemoni nella Piana di Gioia Tauro. Secondo quanto riferito dall`ispettore, la consorteria avrebbe tentato di avvicinare un componente della suprema corte per arrivare, in cambio della somma di centomila euro, alla scarcerazione di Salvatore Pesce. Quest`ultimo è il padre di Giuseppina, la giovane pentita che nello scorso mese di settembre ha ricominciato a collaborare con la giustizia, dopo un periodo un cui aveva interrotto le sue rivelazioni agli inquirenti, ritrattando quanto precedentemente dichiarato, pare a causa delle pressioni subite dai familiari. Per l`agente della polizia penitenziaria, del piano per “ammorbidire” il giudice avrebbero parlato, nel corso di colloqui in carcere, lo stesso Pesce con la moglie Angela Ferraro e quest`ultima con il fratello Giuseppe. Conversazioni intercettate nel 2006 e nel 2007, da cui si evinceva che un precedente tentativo di corruzione era andato a buon fine, mentre il secondo sarebbe saltato a causa del rifiuto di un avvocato a fare da tramite.  
«COMANDO IO» Il padre in udienza discolpa il figlio affermando «A casa mia cumandu io». Solo che il boss di Rosarno Nino Pesce per “comando” non intende affatto quel tipo criminale che i magistrati della Direzione investigativa antimafia hanno tratteggiato nell`ordinanza dell`operazione “All Inside”, per cui è a processo a Palmi, bensì un`azione non contro legge che lo porterebbe a essere, sebbene ergastolano e recluso, solo un punto di riferimento della sua famiglia. Una versione, questa raccontata da Pesce, collegato stamattina in videoconferenza dal carcere di Secondigliano, tesa a sminuire la figura criminale del figlio Francesco, già condannato a 20 anni nel primo troncone del procedimento giudiziario contro la cosca rosarnese. «In nessuna intercettazione tra quelle descritte dall`ispettore Carpino (della polizia penitenziaria, ndr) c`è un riferimento fatto da me alla cassa comune – ha detto Nino Pesce rispondendo alle domande dei magistrati -. Io parlavo a mia madre di fare con Salvatore (suo fratello e padre della collaboratrice Giuseppina ndr) quello che avevamo fatto con Rocco, cioè di pagare le parcelle degli avvocati, riferendomi al rapporto che c`è tra una madre e un figlio. La mia frase su “anche se non merita” si riferisce al fatto che mio fratello Salvatore era conosciuto come “babbo” e non al fatto che si meritava di essere difeso». Il secondo e più importante passaggio ha riguardato suo figlio: «A casa mia cumandu io. Signor giudice mio figlio Cicciu Testuni non fa niente per nessuno. A casa mia cumandu io
e figghiuma non cunta nenti. Signor giudice se ci sono colpe sono le mie, ma le colpe non ci sono. Si parla si parla ma non ci sono i riscontri, solo parole ma dove sono i soldi?».

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