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«S`è dimesso il Marajà!». Il party di Vinicio nel “galeone” di Catanzaro

CATANZARO Il folletto germanico-irpino stavolta si presenta con cappello a tese larghe napoleoniche e barba yiddish: «Noi vogliamo del rum», qui, dalla parte di Spessotto! Vinicio Capossela, molto …

Pubblicato il: 13/11/2011 – 15:13
«S`è dimesso il Marajà!». Il party di Vinicio nel “galeone” di Catanzaro

CATANZARO Il folletto germanico-irpino stavolta si presenta con cappello a tese larghe napoleoniche e barba yiddish: «Noi vogliamo del rum», qui, dalla parte di Spessotto! Vinicio Capossela, molto prima dell`«una e trentacinque circa», avvia le sue ballate alcoliche dal gusto irlandese dall`interno della carcassa di una balena. Dedica speciale alle variopinte «popolazioni aggrappate alla Salerno-Reggio», e a questo «teatro dall`architettura particolare rispetto al resto della città, sembra un galeone laccato di un bianco che non rassicura ma fa paura… Siamo tutti sulla stessa barca», e mai luogo comune fu più attuale che in questi giorni, anzi in questi minuti. A proposito: «Se chi comanda non agisce nell`interesse di tutta la nave, noi ci ammutineremo», risate e applausi, tanto più che nel frattempo un multiplo del pubblico del Politeama s`è radunato davanti al Quirinale a fischiare proprio un nocchiero egoista, il «cavaliere nano dell`Apocalisse» si scoprirà poi.
Intanto, meglio farsi abbracciare da queste sedici costole, una moltiplicazione che è il contrario dell`amputazione dannunziana, spiega il front-man. Visto che «al peggio non c`è limite ma neanche al meglio, e il massimo del risultato si ottiene col massimo dello sforzo», si salpi pure per questa seconda serata del Festival d`Autunno edizione 9. Benvenuti a bordo, l`equipaggio si direbbe di sinistra visto che nel rispetto delle quote rosa anche le donne possono navigare, qui. Uno straniante alter ego di Vinicio si accomoda all`armonio, tra pellicce e mantelli bruni, bombette e cilindri su abbigliamento da marinaretti veri, non alla Susanna Agnelli.
Un megafono indignado annuncia l`arrivo di una balena «da cavalcare sedendosi sulla sua schiena» e non solo per motivi di rima. Canzoni a manovella, ukulele, xilofono e insert di nocche, mentre «l`organo è suonato da un uomo pesce di origine crotonese». Orgogliosi applausi autarchici. Lui si chiama Francesco Arcuri e «viene da una città rivale, Crotone, dategli una boccia di Cirò…», reclama Capossela a fine serata. Un pianoforte a coda lunga nero alla Paolo Conte troneggia a centro palco, ma c`è anche una tastiera sulla prua incastonata nel golfo mistico quasi a decostruire la sacralità dello spazio scenico.
Otto tentacoli con poche tentazioni e nessuno da abbracciare: ecco il polpo purpureo che sussurra su sonorità alla Harry Belafonte. «Perduto amor, mando messaggi d`inchiostro nero nero nell`abisso scuro».
Per il suo compleanno il vecchio Nettuno si diletta con una compagnia di sirenette minorenni e pesci pagliaccio che «bevono spritz e fanno le bizze»: la marcetta si trasforma in tripudio e tutto è concesso, ballano anche i seguaci del nocchiero egoista di cui sopra e il nostromo buono fa gridare «alleluia» anche ai berluscones calabri.
Una maschera dal naso fallico sfida un Polifemo probabilmente ubriaco. “Il ballo di San Vito” dopo tutti questi anni è diventato una taranta che sembra suonata dai tamburi del Bronx. Tra un pezzo e un altro gocce di poesia: «La memoria non è il passato ma il posto dove trasferire le cose perché durino». Ma anche ironia sul teatro che nel live precedente fu definito più o meno un cortile interno. «Questo teatro raggiunge un`altezza sia spirituale che geometrica, lì al settimo cielo sentite gli angeli?». Non poteva mancare il riferimento mitologico all`Odissea («Ulisse l`unica cosa a cui non credette fu di essere passato da Catanzaro Lido…») per un band che è piuttosto un equipaggio: al mixer luci, infatti, c`è «il guardiano dei fari».
Poi le Pleiadi conducono i naviganti verso l`approdo, peccato, il viaggio è già finito. Anzi no. Alla fine saranno due ore e mezza di spettacolo, la “buona novella” che arriva da Roma caricherà la ciurma: «La vela tende e il vento se la prende», i naufraghi in platea possono sperare in flutti più placidi. E allora si riparte con un twist che annuncia: «Si è dimesso il marajà», l`evento è tale da far cambiare anche il testo di un superclassico. Scatta addirittura “Al veglione”. L`ultima uscita è con una birra, la seconda arriva sul vassoio, «bevo solo sul lavoro, anzi alla fine: come i muratori». Un altro regalo al pubblico in visibilio. «Dopo tutta la Salerno-Reggio che ho dovuto fare per arrivare qua…».
Che cos`è l`amor? Forse è questo. Tutti in piedi per una compagnia freak che avrebbe spopolato nel lower east side di Manhattan a inizio Novecento, tra emigranti irpini e calabresi avvinazzati e malacarne irlandesi ed ebrei nei teatrini di legno a rischio incendio. I catanzaresi, un secolo dopo, apprezzano.

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