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Il pm Lombardo contro «l`inerzia della magistratura»

Non ha freni il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Se il suo intervento a Bologna, in occasione della manifestazione “Politicamente scorretto 2011” organizzato da…

Pubblicato il: 29/11/2011 – 17:07
Il pm Lombardo contro «l`inerzia della magistratura»

Non ha freni il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. Se il suo intervento a Bologna, in occasione della manifestazione “Politicamente scorretto 2011” organizzato da Libera, può essere ritenuto “accademico”, i riferimenti sono puntuali e precisi. Il filo del suo discorso porta in riva allo Stretto. Parla di `ndrangheta, della sua capacità di infiltrarsi nella politica e nelle istituzioni. Ma parla anche del concorso esterno in associazione mafiosa e di scambio di voti, i classici reati contestati ai politici sorpresi in rapporti con esponenti delle cosche. Non a tutti però.
«Inerzia, timidezza investigativa, espropriazione del ruolo del giudice, magistratura che si volta di fronte alle collusioni con la politica». Anche a costo di essere impopolare, il pm Lombardo non risparmia i suoi colleghi. Dice quello che pensa. In fondo ci è abituato. Lo fa nelle indagini e nelle requisitorie, quindi adotta la stessa trasparenza durante l`incontro con il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Igroia.
Il nodo da sciogliere è sempre quello: il rapporto tra la `ndrangheta e la politica. La “zona grigia” per la quale l`interpretazione delle norme rappresenta spesso il principale ostacolo da superare per le indagini.  
Per Lombardo, «non è tollerabile che rimanga penalmente irrilevante il comportamento del politico che chiede reiteratamente sostegno elettorale al capomafia o a un soggetto affiliato alla medesima organizzazione, nella consapevolezza del ruolo criminale di questi. Appare evidente, infatti, che la immediata conseguenza di tale rapporto è la voluta e consapevole legittimazione dell`Antistato».
Prima dell`obbligo di esercizio dell`azione penale, c`è l`obbligo di investigazione. Il pm reggino ricorda l`articolo 112 della Costituzione: «Quante volte avete avuto l`impressione che la magistratura non abbia fatto tutto il possibile o si sia girata dall`altra parte? Troppe! La spiegazione più frequente che è stata data a quella vostra sensazione è sempre ruotata intorno alla colpevole incompletezza del corpus normativo: vi dico sinceramente, da magistrato, che questo è vero solo in parte. Sono convinto che l`attuale assetto della giurisprudenza mantiene al di fuori dalla rilevanza penale condotte che, per l`evidente disvalore che le caratterizza, andrebbero ampiamente sanzionate. Si pensi a quanto abbiamo detto prima a proposito del politico che incontra il capo locale di turno per chiedere sostegno elettorale! Da calabrese, non riesco ad accettare l`idea che il giudice sia costretto ad escludere la rilevanza penale di quel soggetto politico che chiede voti al mafioso e che ne legittima il ruolo in contesti territoriali in cui la spersonalizzazione non esiste, perché non può esistere».
Lombardo pone un problema normativo quindi, «perché cerchiamo l`alibi al nostro non fare, al nostro timido incedere, nelle scelte della politica che protegge se stessa, quando l`unico vero strumento di cui dispone la magistratura è oggetto di una tendenza all`autolimitazione a mio modo di vedere non del tutto spiegabile».
A Bologna, il sostituto procuratore della Dda reggina non ha mai pronunciato il nome dell`assessore comunale ai Lavori pubblici Pasquale Morisani, intercettato nell`ufficio del boss di Pietrastoria Santo Crucitti mentre discuteva di voti a pochi giorni dalle elezioni amministrative.
Nonostante tutto, appare chiaro il riferimento al politico nei confronti del quale tanto il pm quanto il gip che ha firmato l`ordinanza non hanno trovato «comportamenti penalmente rilevanti».
«Il politico in carica – aggiunge Lombardo – è, ai sensi dell`articolo 357 del codice penale, un pubblico ufficiale. Nel momento in cui si reca dal capomafia a chiedere il voto, entra in contatto con un`organizzazione criminale che lo Stato persegue e sanziona. Il mafioso parla di “locali” di `ndrangheta, di spartizioni elettorali, di soggetti di riferimento. Il politico annuisce, dialoga, interagisce, comprende, conosce, consiglia. L`unica cosa che non fa in presenza del mafioso è promettere qualcosa in cambio dell`appoggio richiesto. Gli hanno spiegato che senza lo scambio di promesse, nessun pm, neanche il più forcaiolo potrà mai contestargli un comportamento penalmente rilevante».
Un reato, secondo Lombardo, sarebbe invece stato commesso da quel politico che ha ascoltato «i riferimenti fatti dal capomafia, il suo orientamento politico e le imposizioni agli appartenenti alla cosca di scelte politiche non libere». Quel candidato, insomma, sarebbe colpevole di attentato ai diritti politici del cittadino. «Qual è il pensiero – spiega il pm – che a lui passa per la mente: recarmi presso la più vicina caserma dei carabinieri per denunciare il reato! Uscito dalla casa del mafioso, il politico incontra diversa gente. Non è colpa sua se si distrae, d`altronde gli impegni sono tanti: di certo “dimentica” di denunciare quei gravi reati di cui ha preso diretta notizia e dei quali ha conosciuto almeno uno dei responsabili. Peccato che in quella casa, in quell`ufficio, in quel bar, qualche magistrato troppo zelante aveva pensato di istallare una microspia, tanto d`avere ascoltato il suo silenzio e le tante chiacchiere del mafioso: ma io, dirà il politico, indignato per la violazione della sua privacy, non ho promesso nulla e di nulla posso essere chiamato a rispondere. Anche questa volta mente, sapendo di mentire. In Italia la sua condotta omissiva è delitto: omessa denuncia. Che lo spieghi davanti ad un Tribunale  di non aver voluto, con quella colpevole omissione, agevolare l`organizzazione mafiosa a cui aveva chiesto sostegno elettorale».
L`ultima intimidazione l`ha subita il 5 ottobre quando nei parcheggi del Cedir è stato rinvenuto un ordigno avvolto in un foglio di giornale con la sua fotografia.
Nel corso della manifestazione di Libera, Giuseppe Lombardo si è soffermato anche sulla sua esperienza personale: «Fare il magistrato in Calabria non è sicuramente un esercizio facile. Principalmente per chi, come me, si occupa di indagini contro una criminalità organizzata forte come la `ndrangheta calabrese che ha tutta una serie di strumenti per cercare di impedire che si vada a fondo da parte nostra, che vengano individuati tutti i settori in cui è impegnata. Subire quattro intimidazioni in poco più di un anno e mezzo non è semplice. É difficile spiegare a chi ci vive accanto che occorre considerare le intimidazioni una parte del nostro lavoro. Obiettivamente non sarà il numero delle intimidazioni che in qualche modo mi farà modificare il modo di lavorare. Ma sapere che ci sono persone come mia moglie, i miei bambini che vivono quella realtà e vengono identificati nella mia persona, non è una cosa che ci può lasciare del tutto tranquilli».
Per dare risposte concrete «bisogna un po` modificare l`approccio che anche la magistratura inquirente ha avuto negli ultimi anni. Ormai siamo consapevoli di quali sono i settori in cui la `ndrangheta entra in maniera preponderante e quali sono i canali che le consentono di generare enormi ricchezze da utilizzare anche per comprare il favore di chi, non solo istituzionalmente ma anche per costituzione, è lontano da quel mondo. Ritengo che il pubblico ministero debba cominciare a ragionare con un`impostazione che tende a prevenire il rigenerarsi di un determinato fenomeno. Ormai ci rendiamo conto, e i processi degli ultimi anni lo confermano, che le condanne non bastano più. Non bastano perché si assiste a condanne anche a 10-15 anni, che poi ovviamente si riducono, che consentono a quei soggetti di rientrare nel circuito criminale dopo un periodo di tempo che, per quanto riguarda la loro impostazione, è ragionevole. Poter tornare liberi dopo 8 o 10 anni, significa riuscire a gestire quell`interregno facendo affidamento su altre risorse».
E a questo punto Lombardo ricorda la proposta che la Dda reggina fece nel 2008: togliere la patria potestà ai mafiosi. Una proposta accolta dalla Procura presso il tribunale per i Minorenni che adottò questo
provvedimento con il boss Giuseppe De Stefano: «Ci siamo resi conto da tutta una serie di indagini che si assisteva a una macchina criminale sostanzialmente piegata ai voleri dei grandi capi mafia. Una macchina che serve a ricreare tutta una serie di situazioni che la magistratura cerca di spezzare. In parole semplici noi assistevamo a una sorta di macchina che creava mafiosi. Perché crescere all`interno di determinate famiglie e non avere alternative culturali significava sostanzialmente consegnare a un destino già segnato tutta una serie di ragazzi che, a nostro modo di vedere, devono avere altre possibilità. Avere ottenuto un provvedimento del genere, secondo me, ha aperto una strada nuova che bisognerebbe percorrere fino in fondo per far capire a quei ragazzi che c`è altro al di fuori di una famiglia che è portatrice di valori deviati, che invece viviamo in uno stato di diritto in cui l`anomalia è quello che avviene all`interno di quelle mura domestiche. Spero che questa sia una strada che in tanti cercheranno di portare avanti. Ritengo che gli strumenti ci sono ed esistono da almeno 70 anni. Non ci siamo inventati assolutamente niente: abbiamo applicato un istituto, presente nel nostro codice civile, che è in vigore dal 1942 e che era stato utilizzato per situazioni meno gravi rispetto a quelle che vivono i figli dei mafiosi. Le risorse in campo per reprimere non saranno mai sufficienti. L`unica strada che noi abbiamo è prevenire la rigenerazione del fenomeno mafioso. E la rigenerazione passa dalla formazione dei ragazzi utilizzati quali strumenti criminali futuri».
E più in generale: «La `ndrangheta in questo momento viene considerata la mafia più ricca e potente del mondo. Beneficia di una distrazione di fondo, di una sottovalutazione delle sue capacità. È forse una delle prime mafie che capisce quali sono le potenzialità del nord Italia e di numerosi paesi europei ed extraeuropei perché entra in contatto con quel mondo nel momento in cui inizia a gestire il traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Ci sono realtà importanti a livello di Unione europea in cui non è sanzionato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Chiaramente i mafiosi capiscono che in Italia è molto più rischioso fare determinate operazioni e che quelle operazioni è meglio farle in Paesi in cui la legislazione non è puntuale come la nostra. Se da una parte in Calabria stiamo cercando di dare risposte serie che possano produrre degli effetti duraturi a livello sanzionatorio, ovviamente come tutte le organizzazioni criminali la `ndrangheta si trasforma e si sposta in altri territori dove ancora c`è molto spazio per crescere e arricchirsi. La `ndrangheta sta bene purtroppo perché l`apparato repressivo dovrebbe partire da lontano e dovrebbe colpire i centri nevralgici del potere mafioso che non sono certo le piccole famiglie o i piccoli gruppi criminali che operano in paesi della Locride o del Reggino o della Piana di Gioia Tauro in cui obiettivante c`è poca ricchezza da creare e cercare».

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