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Il "mago" che abbina la birra alla `nduja

REGGIO CALABRIA «La birra non esiste, esistono solo le birre». Benvenuti nell’euforico mondo del paradosso alcolico di Lorenzo Dabove, massimo esperto italiano di birra e tra i più conosciuti e fam…

Pubblicato il: 30/11/2011 – 12:24
Il "mago" che abbina la birra alla `nduja

REGGIO CALABRIA «La birra non esiste, esistono solo le birre». Benvenuti nell’euforico mondo del paradosso alcolico di Lorenzo Dabove, massimo esperto italiano di birra e tra i più conosciuti e famosi oltre i confini nazionali. Ieri sera il locale “Birri basta” di Reggio è stato il teatro allegrotto andante dello show di questo 59enne savonese trapiantato a Milano ma innamorato di Genova, che ha l’atteggiamento e l’aspetto gaudente di un ragazzo nel pieno del suo vigore fisico. E poi dicono che la birra fa male: nessuno potrebbe mai dirlo, sentendolo parlare e argomentare con robustezza cattedratica di India pale ale o di weiss, di saisonniere o di Chocolat stout.
Viaggia ininterrottamente da trent’anni, Dabove, toccando tutti gli angoli del globo, in fondo per lui una semplice metastruttura, contemplata e indagata principalmente attraverso la cornice diafana di freschi boccali belgi e inglesi, tedeschi e americani e scozzesi. Pinte colme di liquidi schiumosi e policromatici, un tempo non troppo lontano ritenuti doni divini, capaci di regalare agli uomini momenti di alienazione dalle fatiche e dalle disperazioni della vita.
Dappertutto Dabove porta con sé quello che non si stanca di chiamare il «verbo», che altro non è che una profonda conoscenza culturale oltre che fisica (ma di pancia questo lucidissimo beone ne ha davvero poca) della birra e delle sue infinite declinazioni aromatiche e organolettiche. La birra è una passione affrontata con piglio scientifico. Ma non è la sola. Perché Dabove, in arte Kuaska, è anche un bardo d’avanguardia, che ogni anno pubblica componimenti poetici nell’antologia “Teste pensanti”. Senza scordare il teatro, dove recita nei panni, appunto, di Kuaska, poeta alieno dalle orecchie simili a quelle del dottor Spock.
È la prima volta in Calabria, e le sue sensazioni sono simili alla prima sbornia di un adolescente: «Ho la fissa di fare foto, sempre roba attinente alla birra. Mai mi era capitato come in questi giorni di immortalare quasi esclusivamente paesaggi e scenari: non ho mai visto in giro per il mondo posti come Scilla o Pentedattilo». Un attestato di un certo rilievo, fatto da uno che per lavoro fa la spola tra i continenti: è giudice internazionale alla World beer cup di San Diego e Seattle ed alla European beer stars di Monaco di Baviera. In Italia, inoltre, presiede la giuria nelle competizioni nazionali di birrai ed homebrewers organizzate dal Movimento birrario italiano. Un beer-taster, come ama definirsi, che ieri è riuscito ad accoppiare brillantemente prodotti tipici calabresi con birre artigianali per palati altamente educati.
Il primo binomio accosta una grossa patata silana ripiena di ricotta e speck alla Kipling south pacific, una pale ale (pallida ad alta fermentazione) prodotta dalla Thombridge che è «un’azienda coraggiosa che utilizza esclusivamente luppoli del Pacifico». Mossa vincente, il pubblico dimostra di gradire. Tocca alla Urthel, una saisonniere speziata che viene servita con i tipici salumi dell’area grecanica, da poco anche presidi di Slow food: capicollo “Azze anca”, “Magulà” e soppressata dolce di Calabria.
È la volta di una “birra di Natale”, cioè quelle birre che nelle intenzioni dei produttori «servono per “scaldare l’inverno”, molto alcoliche e scure». È la St. Bernardus delle Fiandre occidentali, gustata con pizzetta a base di caciocavallo di Ciminà.
Dabove è convinto che la birra si abbini a qualsiasi cibo (al punto da ideare vere competizioni contro i cultori del vino: «siamo al 22esimo scontro, per ora la birra conduce 17 a 5»), per questo nel menu non manca il rinomato tartufo di Pizzo, bagnato dalle cromature scure della Chocolat stout della Brooklyn brewery.
Visto che la cosa funziona e lentamente i nervi si distendono, perché non continuare con il gioco degli accoppiamenti dei prodotti calabresi? Che ci sta con la cipolla di Tropea, Kuaska? «Perfetta una birra al frumento tedesco». E con la ‘nduja? «Birre speziate o molto amare come le Ipa americane e le speziate al coriandolo». A questo punto, ci resta solo la soppressata che, l’esperto insegna, si sposa felicemente con le birre acetiche e le rosse di Fiandra.
Dabove tracanna allegro e continua a spiegare con dovizia di tecnicismi per oltre tre ore, senza mostrare nessun segno di cedimento alcolico, mentre, minuto dopo minuto, le facce degli avventori si distendono sempre più in risolini inconsapevoli e beati. La domanda è, a questo punto, inevitabile: «Quanto bevo io? Solo durante e dopo i pasti». Noi non siamo mica beer-taster mondiali, pensano allora tutti, mentre barcollanti ma felici cercano di guadagnare l’uscita.

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