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"Testamento", sentenza confermata in Appello

Qualche sconto di pena. Per il resto, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza di primo grado nel processo “Testamento”. Salva ancora una volta la politica. Il presidente Nat…

Pubblicato il: 30/11/2011 – 17:40
"Testamento", sentenza confermata in Appello

Qualche sconto di pena. Per il resto, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza di primo grado nel processo “Testamento”.
Salva ancora una volta la politica. Il presidente Natina Pratticò ha assolto l’ex consigliere di Alleanza nazionale Massimo Labate per il quale il sostituto procuratore generale Francesco Mollace aveva chiesto 10 anni di reclusione. Cade l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa anche per il suo segretario, Enzo Pileio.
Restano, comunque pesanti, le pene inflitte alla cosca di Cannavò.
Giuseppe Libri, figlio del boss defunto don Mico, è stato condannato a 9 anni di carcere.
La Corte d’Appello ha giudicato colpevoli anche gli imprenditori Alessandro Collu (6 anni di reclusione) e Francesco Quattrone (6 anni e sei mesi).
Sette anni di carcere, infine, è quanto dovrà scontare il titolare della “Real Cementi” Bruno Crucitti, ritenuto, secondo gli inquirenti, «un soggetto intraneo alla cosca Libri che gode di assoluta autonomia come è possibile notare dalle intercettazioni telefoniche. Crucitti non è un imprenditore al servizio della cosca, ma è l’imprenditore della cosca, che impone la sua presenza negli appalti ». Su Crucitti ha puntato il dito anche il collaboratore di giustizia Paolo Iannò.
Con la sentenza emessa, dopo diverse ore di camera di consiglio, il Tribunale ha disposto anche il risarcimento danni in favore delle parti civili (Regione e Comuni di Reggio Calabria, Villa San Giovanni e Motta San Giovanni).
Stando all’impianto accusatorio, Massimo Labate (difeso dagli avvocati Alvaro) aveva consentito al capo locale di San Giorgio Extra Nino Caridi (genero del boss don Mico) e a Francesco Giuseppe Quattrone «di accreditarsi quali interlocutori privilegiati della pubblica amministrazione comunale nella gestione ed organizzazione di feste e mostre finanziate illegittimamente con denaro del Comune».
Secondo la Procura, l’ex consigliere comunale di An (alias “Baccheggio”) aveva favorito la cosca in cambio del sostegno elettorale alle amministrative 2007.
Da qui, l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa che, però, non ha retto dopo i primi due gradi di giudizio. Del resto Massimo Labate tali accuse aveva sempre respinto protestandosi innocente.
Si sono dimostrate solide, invece, le contestazioni mosse alla ‘ndrangheta. Giuseppe Libri si rivela «un soggetto di vertice della cosca – aveva sostenuto il pm Lombardo durante la requisitoria nel processo di primo grado – non solo perché è figlio di don Mico Libri, ma per aver dimostrato di essere pronto al ruolo che dovrà assumere nella famiglia. Questo è un vero e proprio casato di ‘ndrangheta in mezzo a una miriade di casati di ‘ndrangheta armati fino all’inverosimile».
Dalle risultanze investigative di “Testamento”, la figura di Peppe Libri emerge in tutta la sua portata. Sarebbe stato lui a curare gli interessi patrimoniali dell’organizzazione mafiosa mantenendo i contatti con gli altri appartenenti della consorteria. Contatti che non avvenivano con regolarità in modo da limitare al massimo l’esposizione dell’imputato, destinato a diventare il vertice della cosca, l’erede di sangue di don Mico Libri il quale, come emerso nei processi “Rifiuti” e “Testamento”, anche se ristretto ai domiciliari a Prato ha continuato a gestire la “famiglia” fino a quando non ci sono state più le condizioni per farlo e ha ceduto il testimone al fratello Pasquale.

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