Informava un indagato delle inchieste a suo carico, per questo la Squadra Mobile di Catanzaro ha arrestato una dipendente del Commissariato della polizia di Lamezia Terme, appartenente ai ruoli dell`amministrazione civile del Ministero dell`Interno, Giuseppina Lentini. La donna deve rispondere dell`ipotesi di reato di favoreggiamento personale aggravato dall`aver commesso il fatto in violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione e falso in atto pubblico. Inoltre è indagata per rivelazione di segreti di ufficio.
L`arresto è stato fatto in esecuzione di ordinanza agli arresti domiciliari emessa dal gip su richiesta della Procura di Catanzaro. L`operazione si collega alle indagini che hanno portato, nel giugno del 2010, a sgominare un`associazione straniera di stampo mafioso, capeggiata, secondo l`accusa, da Matteo Vescio di Lamezia Terme, 29 anni, di Lamezia Terme, già noto alle forze dell’ordine e considerato vicino alla cosca Iannazzo. Secondo l`accusa, Giuseppina Lentini è venuta a conoscenza di informazioni utili acquisite attivando canali privati di informazione e sfruttando le sue conoscenze personali ed in più occasioni avrebbe informato Vescio delle indagini a suo carico per aiutarlo ad eludere le investigazioni. Nel corso delle indagini è emerso anche che l`indagata, in concorso con Vescio e con Ugo Bernardo Rocca, titolare dell`omonima agenzia di pompe funebri di Lamezia (posto ai domiciliari nella stessa inchiesta per favoreggiamento sempre in favore di Vescio), si è resa responsabile, nell`esercizio delle proprie funzioni, di un`attestazione falsa in cui certificava la regolarità e la completezza dell`istanza presentata da Rocca per il rinnovo del passaporto. In realtà, secondo l`accusa, c`erano diversi profili di irregolarità nella richiesta ed il documento di identità presentato dall`uomo non riportava le generalità corrette.
Il gruppo guidato da Vescio, secondo gli inquirenti, imponeva il pizzo agli autisti dei pullman che facevano la spola con l`Est Europa. Ognuno di loro, infatti, veniva fermato in due posti fissi, in piazza d’Armi a Lamezia Terme e nei pressi di un noto hotel a Catanzaro, con una sorta di “posto di dogana”, come è stato definito dagli inquirenti, e qui si faceva pagare una tangente variabile tra i cento e i duecento euro.
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