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I 743 giorni di Cesare in catene nella Locride

Angela Casella sta aspettando che il figlio Cesare, di diciotto anni, rientri per cena nella loro casa a Pavia. Sono le 20.15 del 18 gennaio del 1988 e il ragazzo non è ancora tornato. Il padre Lui…

Pubblicato il: 10/12/2011 – 13:36
I 743 giorni di Cesare in catene nella Locride

Angela Casella sta aspettando che il figlio Cesare, di diciotto anni, rientri per cena nella loro casa a Pavia. Sono le 20.15 del 18 gennaio del 1988 e il ragazzo non è ancora tornato.
Il padre Luigi, proprietario di una concessionaria di automobili della città, esce e vede l’auto di Cesare davanti al cancello. Ma di lui non c’è traccia. Inizia così uno dei rapimenti più complessi nella storia dei sequestri di persona, che ha tenuto l’Italia con il fiato sospeso per circa due anni. I banditi speronano la sua automobile, Cesare scende e finisce nelle mani dei rapitori.
I Casella sono una famiglia non particolarmente facoltosa per una provincia del Nord ricca come Pavia. I genitori e gli inquirenti aspettano un segnale dai rapitori, ma il contatto tarda ad arrivare. Il 10 febbraio, 22esimo giorno dal sequestro, squilla il telefono e risponde mamma Angela: «Qui è Maradona, se volete riavere Cesare dovete versare otto miliardi di lire». «Maradona» è la parola in codice che i rapitori da quel momento in poi usano per comunicare con la famiglia. Per gli inquirenti non ci sono dubbi: dietro c’è la mano dell’Anonima calabrese. La famiglia è disperata. Il 9 marzo, al 50esimo giorno, i rapitori contattano il ragioniere Massimo Gastaldi, contabile della ditta Casella: la nuova richiesta è di tre miliardi. Il padre del ragazzo vuole come unica garanzia una prova che il figlio sia vivo. Il 25 marzo Gastaldi riceve una lettera dai sequestratori: è un messaggio di Cesare che ribadisce la cifra di tre miliardi e fornisce le istruzioni per i contatti successivi. Nella busta c’è anche una foto. Nella missiva vengono indicati, inoltre, due quotidiani dove mettere un annuncio quando il padre sarà pronto a pagare; Luigi però non ha tutti quei soldi. Nelle settimane successive la famiglia pubblica vari annunci nella speranza di ristabilire il contatto. Una lunga attesa.
Il 10 agosto i rapitori chiamano Gastaldi: il padre deve portare a Cosenza  assieme al ragioniere, il miliardo che ha trovato. A consegnare il riscatto dovrà essere solo Gastaldi, al quale gli ’ndranghetisti fanno trovare un’altra prova che dimostra che Cesare è vivo. Seguendo le indicazioni, il contabile arriva a Samo, piccolo paesino della Locride. Una borsa appesa a un bastone è il segnale per fermare l’auto. Gastaldi scende dall’auto e prosegue a piedi. All’improvviso spunta un uomo armato, il ragioniere lascia la valigetta e chiede quando può rivedere Cesare. La risposta è: «Domani».  Passano i giorni e il ragazzo non viene liberato. Il padre e il contabile ritornano a Pavia. Dopo due settimane, arriva un’altra lettera dei sequestratori: il miliardo è solo una prima rata, per rivedere il ragazzo ne servono altri due. Soldi che la famiglia non ha. A questo punto i contatti si interrompono.
È il 23 novembre: sono trascorsi 309 giorni. Gli uomini dell’Anonima scrivono di nuovo: non vogliono trattare, quando i Casella avranno i soldi dovranno pubblicare un annuncio. La famiglia cerca ancora un contatto ma senza riuscirci. Arriva Natale, il primo senza Cesare. Il Papa lancia un messaggio nell’Angelus del primo gennaio 1989. Da un anno il giovane è sequestrato in Aspromonte. A questo punto la famiglia è disperata e decide di adottare una strategia diversa: fa sapere con un annuncio di avere i soldi, anche se non è così. Il 30 marzo del 1989 arriva una telefonata dai sequestratori: il padre di Cesare deve andare a Gioiosa Jonica. Luigi vuole una prova che il figlio sia vivo, e così arriva una foto.
Il magistrato che si occupa del sequestro decide di coprire il disperato bluff della famiglia. Tutti i loro beni vengono bloccati: gli ’ndranghetisti accusano il padre di essersi messo d’accordo con gli inquirenti e gli concedono quindici giorni per consegnare il denaro. Luigi Casella torna in Calabria con 500 milioni di lire. La polizia segue a distanza l’operazione. Il 5 giugno il padre di Cesare è a Gioiosa, viene contattato dai sequestratori: sono furiosi e non accettano quella cifra. Anzi dicono che ora vogliono cinque miliardi. Casella, allora, torna a Pavia e dice alla moglie: «Senti Angela, adesso vai in Calabria».
“Mamma coraggio” scende a Locri: rivuole suo figlio. Disperata per il silenzio generale e non solo per quello dei rapitori. La signora Casella è determinata a incontrare la gente dell’Aspromonte: i primi giorni sta seduta in piazza a San Luca per ore, ma nessuno si avvicina. Poi è lei a fermare la gente. Il 14 giugno, per la prima volta, le donne della Locride scendono in piazza accanto a “mamma coraggio”. È un momento di risveglio delle coscienze. Per un mese “il caso Casella” è all’attenzione dei media nazionali. Locri è assediata dalle forze di polizia. E per la prima volta i vertici investigativi arrivano in Calabria. Il 19 giugno mamma Angela trascorre la notte in tenda a Locri davanti al Comune per sperimentare che «cosa sta provando il figlio».
Il 26 torna a Pavia. Arriva un primo segnale di risposta alla sua protesta: i sequestratori fanno sapere di voler trattare e abbassano le pretese: si “accontentano” di un miliardo e mezzo. Luigi Casella chiede ai banditi di riaprire la trattativa. Cesare, intanto, compie i suoi 20 anni in Aspromonte. L’8 ottobre, passati 628 giorni, i rapitori si fanno vivi con una lettera: parlano di un ulteriore sconto al riscatto e indicano le modalità dell’incontro. Ma questa volta, i carabinieri si sostituiscono ai genitori al momento del pagamento. Inizia un conflitto a fuoco nelle campagne di Natile: un componente della banda viene ferito e arrestato. È Giuseppe Strangio, ritenuto il capo dell’organizzazione, che dal letto dell’ospedale fa un appello ai rapitori: non va levato  neanche un capello al ragazzo e bisogna contattare la famiglia.
Per gli inquirenti quel messaggio è chiaro: l’Anonima capisce di aver perso la partita. Strangio, ritenuto il cassiere dell’Anonima sequestri inizia a collaborare con la polizia per far rilasciare l’ostaggio. Tre gennaio 1990, 715 giorni dal rapimento, arriva una lettera dai rapitori e una del ragazzo indirizzata al padre. Si attende la liberazione da un momento all’altro. E il 30 gennaio: Cesare viene rilasciato a Natile di Careri, con la catena al collo raggiunge un’abitazione e chiede aiuto. Viene scortato dai carabinieri all’aeroporto di Lamezia per tornare finalmente dalla sua famiglia.
Il magistrato bussa a casa Casella a Pavia, mamma Angela non crede a quelle parole e fa ripetere al magistrato ben dieci volte: «Hanno liberato Cesare».  Inizia a tremare. Il momento più emozionante alle 7.30 del mattino del 31 gennaio del 1990 il lungo abbraccio tra “mamma coraggio” e suo figlio nella caserma dei carabinieri di Pavia. «Ho solo i capelli lunghi. Sto bene. Sei tu che stai male, guarda come sei magra», dice Cesare alla madre che rivede dopo 743 giorni.

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