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Il boss Iamonte condannato a 19 anni di carcere

REGGIO CALABRIA Diciannove anni. Tanti ne dovrà fare il boss Nino Iamonte, di Melito Porto Salvo. A parte qualche riduzione di pena e la caduta del reato di associazione mafiosa per alcuni imputati…

Pubblicato il: 15/12/2011 – 19:30
Il boss Iamonte condannato a 19 anni di carcere

REGGIO CALABRIA Diciannove anni. Tanti ne dovrà fare il boss Nino Iamonte, di Melito Porto Salvo. A parte qualche riduzione di pena e la caduta del reato di associazione mafiosa per alcuni imputati, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza di primo grado nel processo “Ramo Spezzato”. Una condanna che il capocosca, figlio del mammasantissima Natale Iamonte, dovrà scontare in continuazione con un’altra inflittagli in un vecchio processo e diventata definitiva. I giudici di piazza Castello hanno sposato l’impianto accusatorio della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che, nel febbraio 2007, ha stroncato la cosca Iamonte grazie anche alla dichiarazioni del testimone di giustizia Saverio Foti.Tredici le condanne che il sostituto procuratore generale Adriana Fimiani è riuscita a ottenere al termine del processo di secondo grado. Stando alle indagini, coordinate all’epoca dal pm Antonio De Bernardo, il boss Nino Iamonte sarebbe stato il promotore di un’associazione a delinquere di stampo mafioso dedita alle estorsioni, al trasferimento fraudolento di valori in capo a prestanome di beni mobili, immobili e società operanti nel settore della macellazione delle carni oltre che di commercializzazione di carni nocive, false attestazioni e soppressione di certificati.Nove anni di carcere, inoltre, sono stati inflitti a Carmelo Iamonte, fratello di Nino. Su di lui ha pesato un’intercettazione telefonica captata dagli uomini della Mobile tra lui e un tale Toscano al quale confessa il suo rammarico per l’impossibilità di non essere sempre presente a Melito a causa di una vecchia misura cautelare che lo costringeva a stare a Massa: «Io vengo quando ho la possibilità… però mio fratello Nino si sta sputtanando troppo e si sputtana pure in modo sbagliato, quindi non sta bene perché a me questi discorsi non stanno bene… Allora se io dovessi avere la possibilità la prossima volta di tornare (il riferimento è al luogo in cui si trova obbligato a risiedere, ndr) ed avere un giorno tranquillo… perché un paio di mesi or sono avevo parlato con lui… comincio da mio fratello Nino e gli detto le leggi e le regole se le vuole capire… e pure per me stesso… anche perché noi oggi, Totò, ci siamo…». Dalle indagini della Mobile, era emerso un quadro inquietante in cui Melito Porto Salvo si conferma, ancora una volta, sotto il dominio incontrastato della cosca Iamonte che, in sostanza, avrebbe gestito il monopolio nel settore della macellazione. Il sistema era sempre lo stesso. Dopo aver costretto gli imprenditori della zona a cedere il loro esercizio commerciale a prestanome del clan, Nino e Carmelo Iamonte avrebbero venduto carne priva di qualsiasi controllo veterinario. Dietro le estorsioni, infatti, si sarebbe nascosto un progetto criminale molto più ampio: un commercio illegale di animali che provenivano anche dalla Sicilia e che venivano macellati senza nessun certificato sanitario. Animali spesso malati, con cedolini di riconoscimento falsi e per i quali era impossibile rintracciare la provenienza.Le conversazioni tra gli indagati e, soprattutto, i controlli effettuati sul bestiame hanno verificato che la cosca Iamonte era in grado di far resuscitare o, addirittura, cambiare sesso e razza ai bovini destinati alla macellazione. Bovini, in sostanza, a cui erano stati abbinati cedolini di animali già macellati.Ritornando alla sentenza emessa dalla Corte d’Appello, sono stati condannati anche Sergio Borruto (12 anni di carcere), Domenico Tomasello (4 anni e 6 mesi), il medico Francesco Cassano (8 anni), Giuseppe Scieuzo (3 anni), Pietro Rodà (4 anni), Antonio Mafrici (3 anni e 6 mesi), Vincenzo Cosmano (3 anni e 6 mesi), Agata Gurnale (4 anni e 6 mesi), Giuseppe Sergi (4 anni e 6 mesi), Pietro Benedetto (4 anni e 6 mesi) e Angela Ginesio (4 anni e 6 mesi).

Sentenza appello “Ramo Spezzato”

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