REGGIO CALABRIA La barba lunga è sparita, adesso sul volto di Francesco Azzarà splendono invece due occhi mansueti e spauriti. Dopo quattro mesi di prigionia in Sudan, l’operatore è tornato a Reggio, ospite del presidente della Provincia Peppe Raffa. Non è abituato ai flash dei fotografi, si sente a disagio ma è finalmente sereno, libero. Indossa la maglietta bianca di Emergency, un manifesto di vita, anche dopo molte sofferenze. Non sembra arrabbiato per quello che gli è successo, né pentito delle scelte fatte. Il suo pensiero invece va a tutti gli altri cooperanti che sono rimasti in Africa e alla gente di quei villaggi: «La cosa che mi dispiace di più è di essere andato via senza aver potuto salutare quelle persone. Quando vivi un’esperienza di questo tipo, impari a capire i problemi degli altri. Laggiù ci sono ancora tanti operatori che aiutano persone in condizioni gravissime. Non avrei mai pensato di trovarmi in una situazione del genere, ringrazio tutti quelli che sono stati vicini alla mia famiglia e che si sono mobilitati per la mia liberazione». La prigionia è stata dura, ma i sequestratori non l’hanno trattato male: «Non sono mai stato legato né bendato. Ogni tanto mi dicevano di stare tranquillo, perché sarei ritornato presto a casa. Le cose che più mi facevano soffrire erano l’attesa e il dolore che stava provando la mia famiglia». La liberazione, poi, è stata molto semplice: «Mi hanno detto di camminare lungo una strada, dove avrei trovato un’auto ad aspettarmi». Francesco non sa se un giorno ritornerà in Sudan, per il momento vuole pensare solo a riprendersi e a metabolizzare al meglio la brutta esperienza: «È ancora presto per dire quello che farò in futuro. Per il momento mi sento solo di dire grazie, non ci sono parole per descrivere la solidarietà che mi è stata dimostrata».
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