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BELLU LAVURU 2 | Il protocollo antimafia? Stavamo scherzando…

REGGIO CALABRIA I protocolli di intesa sottoscritti dall`Anas, da Condotte d`acqua e dalla Prefettura di Reggio erano buoni solo per mettersi in posa davanti alle telecamere. Materiale per riempire…

Pubblicato il: 11/01/2012 – 16:07
BELLU LAVURU 2 | Il protocollo antimafia? Stavamo scherzando…

REGGIO CALABRIA I protocolli di intesa sottoscritti dall`Anas, da Condotte d`acqua e dalla Prefettura di Reggio erano buoni solo per mettersi in posa davanti alle telecamere. Materiale per riempire di buone intenzione taccuini e comunicati stampa. Già, perché alcune aziende – una in particolare – erano esentate dal rispetto degli accordi. La storia raccontata nell`ordinanza di custodia cautelare dell`operazione “Bellu lavuru 2” ha dell`incredibile. E, soprattutto, non ha nulla a che fare con la legalità. Racconta le collusioni tra colletti bianchi e clan, tra grandi aziende che fatturano milioni di euro e le propaggini calabresi del potere mafioso.
È il 30 luglio 2007 e la Prefettura di Reggio comunica all`Anas che sulla ditta Imc (che si occupa delle forniture di calcestruzzo per alcuni cantieri della statale 106) grava il sospetto di una collusione con la `ndrangheta. Si mette così in moti il meccanismo previsto dai protocolli per la legalità. L`Anas assume a protocollo la nota ben ventidue giorni dopo e ne passano altri nove prima che la inoltri a Condotte, ricordando che «il socio amministratore (si tratta di Costantino Stilo, ndr), già diffidato, risultava gravare, come altri familiari, nell`ambito della consorteria operante in questa provincia capeggiata da un parente prossimo, e che anche l’altro socio, già sottoposto a misura di prevenzione, risultava gravitare nella medesima cosca di `ndrangheta». A questo punto scatta l`interruzione dei contratti, «ma quello che sembra un normale iter amministrativo finisce con l`incepparsi». Sulle cause i magistrati della Dda reggina sono molto chiari, sono da addebitarsi «alla responsabilità della Condotte e all`omessa vigilanza dell`Anas». Un giudizio esplicito, anche se ieri Condotte si è affrettata a chiarire di non aver mai avuto un comportamento soggiacente rispetto alla criminalità organizzata (e di non aver più lavorato in Calabria dal 2007) e l`Anas ha spiegato che i dirigenti sotto inchiesta sono già stati sospesi dalle funzioni.
Il guaio è che, al di là delle dichiarazioni, ci sono i fatti. E i fatti raccontano che la nota di Condotte (con la quale erano stati interrotti i rapporti con la Imc) «viene completamente disattesa tanto dai responsabili di cantiere della Condotte (capo cantiere, direttore di cantiere e project manager), i quali continueranno a richiedere calcestruzzo alla Imc, che dalla stessa ditta, che proseguirà ininterrottamente nella propria fornitura». Insomma, un conto è il procedimento formale, un altro è la realtà dei rapporti con l`azienda finita nel mirino dell`antimafia. I protocolli possono aspettare. Prima vengono i rapporti con chi controlla il territorio. Tant`è vero che «Condotte sceglie i suoi uomini di fatica sul cantiere tra quelli che sono in grado di rapportarsi al territorio in cui opera; e non a caso Pasquale Carrozza viene spostato al cantiere della Ss 106 e Rinaldo Strati è soggetto che, come il primo, è perfetto conoscitore della zona e delle esigenze che lavorare in quella zona comporta». È la famosa “tassa sulla sicurezza” trasposta in assunzioni e posti di lavoro sicuri, ma solo per chi è in grado di fare da collante (o da cliente) per i clan della zona.
Il giudizio è ancora più duro nella richiesta formulata dalla Procura antimafia: «I responsabili della summenzionata grande impresa (si parla sempre di Condotte d`acqua spa), abbacinati dal raggiungimento degli obiettivi economici fatti propri, nonostante gli sbandierati proclami di legalità si mostrano palesemente accomodanti in merito alle logiche criminali imperanti in questo territorio, favorendo, attraverso una gestione degli affidamenti quantomeno poco attenta, gli interessi economici delle varie organizzazioni criminali attratte dalla gestione dei grandi appalti pubblici». Piegarsi al potere criminale in nome del profitto. Un`ombra che si riaffaccia periodicamente nella descrizione dei rapporti dei grandi gruppi industriali con le mafie.

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