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"Alta tensione", chieste pene pesantissime

REGGIO CALABRIA «Ergastolo». Il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Marco Colamonici, ha chiesto il massimo della pena per Francesco Zindato, detto “Checco”, il rampollo già boss de…

Pubblicato il: 12/01/2012 – 16:26
"Alta tensione", chieste pene pesantissime

REGGIO CALABRIA «Ergastolo». Il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Marco Colamonici, ha chiesto il massimo della pena per Francesco Zindato, detto “Checco”, il rampollo già boss dell’omonima cosca che l’11 gennaio 2006 ha ucciso Giuseppe Lauteta, il rivale d’amore che in quel momento era fidanzato con la sua ex. Lo avrebbe ucciso proprio davanti alla ex fidanzata che, dopo la morte di Laudeta, ha riallacciato la relazione sentimentale con Zindato tanto da essere stata fermata per favoreggiamento in occasione della cattura del boss. La requisitoria del processo “Alta tensione” si è conclusa in aula bunker con la richiesta da parte del pubblico ministero di pene pesantissime per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Colamonici, infatti, ha auspicato la condanna anche del fratello di “Checco”, Andrea Gaetano Zindato a 20 anni di reclusione, di Antonino Arabesco (8 anni), Sebastiano Idotta (10 anni) e Antonino Caridi (18). Otto mesi di reclusione, invece, è stata la richiesta nei confronti del collaboratore di giustizia Carlo Mesiano accusato di danneggiamento per aver sparato alla saracinesca di un esercizio commerciale. L’inchiesta della squadra mobile, coordinata anche dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo, ha stroncato la cosca Borghetto-Zindato-Caridi, federata con la potente famiglia mafiosa dei Libri. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso all’omicidio, alle estorsioni, ai danneggiamenti, alla detenzione e porto di armi, all’intestazione fittizia di beni ed attività imprenditoriali. Nell’ambito della stessa indagine, infatti, erano stati sequestrati beni per 50 milioni di euro. Il provvedimento aveva interessato 12 imprese e società operanti, per lo più, nel settore dell`edilizia. I sigilli avevano riguardato anche: la Tesi costruzioni, riconducibile a Santo Giovanni Caridi, che ha sede a L`Aquila, un panificio (a Roma), la società proprietaria di un palaghiaccio mobile a Reggio Calabria, il circolo ricreativo Las Vegas, tre appartamenti e tre automobili. L’inchiesta tocca anche gli appalti pubblici per i quali i Borghetto-Zindato-Caridi avevano una corsia preferenziale. «Particolare rilievo – scrivono, infatti, i magistrati della Dda reggina – presentano le operazioni volte a infiltrare l’azione dell’amministrazione pubblica al fine di inserirsi nel circuito degli appalti e delle concessioni gestiti dagli enti pubblici, in particolare dal Comune». Le figure chiave, in questo settore, erano Giuseppe Zindato e l’ingegnere Demetrio Cento che, «seppure immuni da gravi pregiudizi penali vanno nondimeno considerati pienamente inseriti all`interno della cosca, nell’ambito della quale svolgono una funzione particolarmente importante. Infatti, permettono al sodalizio di ampliare gli ambiti di infiltrazione nel tessuto economico cittadino e le possibilità di guadagno conseguenti, attraverso l’attività svolta da cooperative e associazioni a loro riconducibili, partecipando ai bandi di gara indetti dal Comune di Reggio Calabria per l`aggiudicazione della gestione dei centri ricreativi estivi per minori e dei centri ricreativi balneari per minori, riuscendo ad ottenerne la gestione di alcuni». Tramite l’ex assessore alle Politiche sociali Tilde Minasi, negli anni scorsi il Comune di Reggio aveva affidato a Cento un incarico fiduciario di consulenza retribuito con circa 60mila euro per dodici mesi. Trecento mila euro in 3 anni, inoltre, era la cifra che nel 2009 la cooperativa sociale onlus “Baby braccio di ferro”, gestita dalla moglie di Cento, si era assicurata con un altro bando dell’amministrazione comunale. Infine, nel 2010, sempre l’assessorato della Minasi aveva affidato all’associazione “Amici per l’infanzia” (anche questa riconducibile direttamente all’ingegnere indagato) il nuovo servizio “Tata in città”, un progetto per l’assistenza domiciliare dei bambini. Tutto questo, però, sarà al centro del processo che si sta celebrando con il rito ordinario che vede davanti al Tribunale di Reggio i 33 imputati che sono stati rinviati a giudizio. Ritornando all’udienza di oggi, al termine della requisitoria del pm Colamonici, il gup ha rinviato il processo al 19 gennaio quando inizieranno le arringhe della difesa.

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