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Benigni dottore all`Unical fra Dante e Jugale

ARCAVACATA DI RENDE Mentre il toscano Roberto Benigni magnificava il genio calabro all’Università della Calabria, il calabrese Mario Caligiuri, assessore regionale alla Cultura e docente di quella …

Pubblicato il: 17/01/2012 – 15:27
Benigni dottore all`Unical fra Dante e Jugale

ARCAVACATA DI RENDE Mentre il toscano Roberto Benigni magnificava il genio calabro all’Università della Calabria, il calabrese Mario Caligiuri, assessore regionale alla Cultura e docente di quella università, metteva la ricerca calabrese in mano alla professionalità friulana. La cifra di questa strana giornata di cultura, in Calabria, sta forse tutta qui. E in qualche sedia vuota tra le prime file di un Auditorium stracolmo e attentissimo. Non c’era il presidente della giunta regionale, Peppe Scopelliti; non c’era il presidente del consiglio regionale, Francesco Talarico. E non c’era neppure Caligiuri, in altre faccende affaccendato. C’erano tre consiglieri regionali di centrosinistra: Sandro Principe, Mario Franchino e Mimmo Talarico. E questa distanza della politica che governa dal più grande ateneo calabrese è, anch’essa, un segno dei tempi. Forse sarebbe stato meglio presenziare, anche se, morettianamente, si viene notati di più quando si resta a casa. Avrebbe potuto esserci, Scopelliti, per chiedere scusa a nome del “suo” assessore reggino Luigi Tuccio, che aveva definito Benigni un “comunista ebreo e miliardario”. Pazienza. Ci ha pensato il professor Nuccio Ordine (autore di un’appassionata laudatio ad altissimo volume per il neolaureato) a ricordare la vicenda: «Le vergognose offese di un singolo non rappresentano la nostra regione: la Calabria che oggi gli rende omaggio con questa laurea honoris causa è la Calabria che si batte contro il razzismo e celebra ogni anno il giorno della memoria». Amen. Anche perché l’evento era il conferimento della laurea a un artista troppo grande per perdersi in una polemica così piccola.
E Benigni non ha deluso le attese. Ha volato alto, come di consueto, abbracciando tutta la platea e piazzando qua e là qualche battuta al fulmicotone. La migliore del campionario l’ha riservata a Silvio Berlusconi, anche lui laureato ad honorem dell’Unical nel 1991: «Mi hanno detto che, dopo quella cerimonia, le agenzie di rating hanno tolto le tre “A” ad Arcavacata, che è diventata Arcavct». E, ancora sui laureati eccellenti dell’accademica calabrese: «Adesso manca solo Jugale, il mio personaggio calabrese preferito». Come Benigni sappia di Jugale è un mistero che si svela in pochi secondi: «Lucio Presta (il suo agente, ndr) mi riempie la testa di cose calabresi quando siamo in giro. Anche se è la mia prima laurea in Calabria (ne ha collezionate altre sei in giro per l’Italia, ndr) conosco bene questa regione e la amo. Infatti sto cercando casa ad Aria di Lupi».
Non resta che un omaggio culinario per completare l’opera: «Mi hanno tenuto dalle 5 alle 8 del mattino per sostenere trenta esami, perché qui non si regala niente a nessuno. Poi, per mantenermi in piedi, mi hanno nutrito con scaliddre, turdiddri e cuddririeddri». La pronuncia è (comprensibilmente) quella che è, ma in sala si ride. Il neolaureato ringrazia, dispensa sorrisi e sprona tutti allo studio della Filologia moderna: «Rende chiari i testi oscuri. Tra qualche anno si studieranno le parole di Di Pietro e Bossi». Com’è inevitabile che sia, il suo è un intervento giocato tutto sulla forza delle parole («le parole sono azioni e sono le parole a rendere possibili i sommovimenti») e della cultura. Al «con la cultura non si mangia» dell’ex ministro Tremonti, Benigni risponde con un «si mangia solo con la cultura, perché è con le parole che i popoli sono cresciuti. Prima di Cristo non esistevano l’amore e la carità. I poeti – e Cristo è stato il più grande poeta della Storia – inventano i sentimenti e li catalogano». Le parole sono rivoluzione e «voi, studenti, fate ognuno la vostra rivoluzione» (in verità di studenti in aula ce ne sono pochi). Il genio scopre non solo i pianeti e le leggi della natura, ma anche sentimenti a cui non si sa ancora dare un nome: «Dante lo fa 98 volte nella Commedia. E io vorrei vivere mille anni per sapere quanti sentimenti abbiamo».
Vola altissimo, Benigni. E racconta, a una platea quasi tutta calabrese, una Calabria semisconosciuta, che «è stata importantissima per tutta la cultura europea». Parte dal tredicesimo secolo e parla di Barlaam di Seminara e Leonzio Pilato, che, «dopo anni di studio nei monasteri , furono maestri di ellenismo per Petrarca e Boccaccio. La Calabria è un esempio di come si possa costruire cultura da soli, studiando dalla mattina alla sera. Leonzio Pilato tradusse Omero e Telesio influenzò tutto l’Illuminismo. E che dire di Tommaso Campanella, il pensatore più torturato della storia della filosofia». L’artista toscano è affascinato dall’invenzione di nuove parole (il minimo, per un filologo) e ricorda che «fu Campanella a inventare la parola “alienazione”, che riecheggia in tutta la filosofia tedesca fino a Hegel e Marx». Questo viaggio nelle vette della cultura calabrese continua con Domenico Mauro, uno dei Mille, fondatore del periodico “Il Calabrese”, «che ha contribuito a riportare in auge Dante, dopo la sua emarginazione».
Dante, il grande amore di Roberto Benigni, permea tutta la sua lectio magistralis. Un’escalation di citazioni attualizzate («nella Divina commedia ci sono 500 personaggi che interagiscono, come in un Facebook ante litteram»), musicalità («ci sono pezzi in cui potete sentire Jimi Hendrix e altri che sembrano suonati con il violoncello») e riferimenti alla più incredibile rivoluzione dantesca, l’ingresso della donna in poesia. «Prima di Dante, le donne erano tenute in considerazione al pari degli animali. Invece Alighieri, con un coraggio pazzesco, affida a una donna, Francesca da Rimini, il primo monologo della sua opera, si fa spiegare tutto da Beatrice, mette una prostituta in Paradiso e dona un corpo alla Vergine Maria». Rivoluzionario, come il pensiero di certi meridionali. Gioacchino da Fiore, ad esempio, «uno che – come tanti calabresi – aveva idee tutte sue ma influenzò molto il pensiero teologico». E poi Tommaso d’Aquino, Benedetto Croce e di nuovo Telesio e Campanella e Giordano Bruno: «Perché il pensiero è al Sud. Tutto il pensiero sta qui e fare la secessione vorrebbe dire staccarsi la testa». Ultimo accenno politico prima della chiusura, riservata all’ultimo canto del Paradiso. Nell’aula ci sono circa mille persone: non vola una mosca.

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