Ultimo aggiornamento alle 9:34
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 7 minuti
Cambia colore:
 

Le mani della `ndrangheta sull`Expo 2015: i timori contenuti nella relazione dell`Antimafia

Le mani della ‘ndrangheta sull’Expo 2015 di Milano. Un grande evento, un affare colossale da 25 miliardi di euro che fa gola a tutte le mafie, ma che vede la criminalità organizzata calabrese occup…

Pubblicato il: 25/01/2012 – 18:28
Le mani della `ndrangheta sull`Expo 2015: i timori contenuti nella relazione dell`Antimafia

Le mani della ‘ndrangheta sull’Expo 2015 di Milano. Un grande evento, un affare colossale da 25 miliardi di euro che fa gola a tutte le mafie, ma che vede la criminalità organizzata calabrese occupare un ruolo di primissimo piano. È la previsione sugli affari illeciti dei prossimi anni formulata nella bozza di relazione conclusiva del presidente della commissione parlamentare Antimafia, Beppe Pisanu. Un documento che sintetizza l’attività di inchiesta svolta dall’organismo bicamerale in questi anni e che conferma come le cosche calabresi siano di gran lunga le più potenti e le più pericolose al mondo. Tanto da decidere di allungare i tentacoli sull’affare più redditizio dell’orizzonte di breve e medio termine, con 17 grandi opere da realizzare. Movimento terra, lavori edilizi e attività finanziaria e amministrativa costituiscono l’humus ideale per far attecchire il business delle ‘ndrine calabresi, come confermano le più importanti indagini della magistratura antimafia del capoluogo lombardo.
«La circostanza che la `ndrangheta sia una delle più ricche e potenti mafie del mondo fa sì che questa organizzazione criminale abbia ingentissime disponibilità di denaro liquido (derivante in particolare dal dominio nel settore del traffico di sostanze stupefacenti), che deve far rientrare nei canali leciti di ricchezza, attraverso operazioni di pulizia e riciclaggio, anche al fine di successivi reinvestimenti», si legge nella bozza di relazione di Pisanu. «Così, vi è la necessità per la `ndrangheta (al pari di tutte le mafie meridionali) di utilizzare i proventi illeciti in attività d`impresa o in acquisti immobiliari in luoghi di pregio o comunque in attività legali e redditizie. Ancora – prosegue il documento di 214 pagine – è evidente la circostanza che la `ndrangheta mostri, ovunque si estenda, grande capacità mimetica e di rapido adattamento ai luoghi: infatti, pur trasferendo nel mondo l`originario modello di relazioni sociali (gli `ndranghetisti non si affidano a referenti locali, ma stanziano sui territori da “colonizzare” colonie – appunto – di affiliati che gestiscono direttamente gli affari delle `ndrine) e pur mantenendo vivissimi rapporti con la terra d`origine e con le cosche di derivazione, sanno allo stesso tempo impiantare efficacemente nuovi sistemi di relazione, anche in armonia tra `ndrine avversarie in Calabria o con associazioni concorrenti».

‘NDRINE DAL COLLETTO BIANCO
La relazione mette in luce la trasformazione intervenuta nel modo di agire e, dunque, anche nello stesso dna dei clan, che « a Milano non sparano (o, più esattamente, lo fanno meno o facendo meno rumore) ma hanno allo stesso modo una forte presenza di controllo del territorio». Perché «non hanno, spesso, bisogno della violenza: è sufficiente la “spendita” del nome mafioso, è sufficiente dire chi si è e da dove si proviene, per ottenere ciò che si chiede. E quel che si chiede è di creare ricchezza, immettendo nei circuiti legali denaro illegalmente acquisito».
Il documento dell’Antimafia evidenzia come, nel corso delle audizioni, sia emerso il dato dell’elevato «riciclaggio che copre ormai gran parte delle attività produttive: si va da attività tradizionalmente controllate dalle mafie come il settore edilizio e le attività connesse (movimento terra; scavi; trasporto dei materiali di scavo) o il settore degli appalti pubblici, in particolare quelli concessi da Comuni dell`hinterland milanese; al settore immobiliare, ove ai capitali mafiosi italiani si assommano ingenti capitali russi e cinesi di provenienza sospetta; al settore delle forniture di prodotti alimentari, in particolare ortofrutticoli (il mercato ortofrutticolo è tradizionale dominio della famigerata `ndrina Morabito-Bruzzaniti-Palamara di Africo); al settore dei locali pubblici (sale giochi, bar, locali di ristorazione) e dei locali notturni, con i servizi connessi (in particolare, quelli di sicurezza)». E ancora, il campo «dei servizi alle imprese e al commercio, quali facchinaggio, pulizia e trasporti; le frodi nei finanziamenti pubblici nazionali e comunitari; le attività connesse ai generi di lusso (noleggio di barche ed autovetture, compravendita di opere d`arte, ecc.)». Un’escalation di affari delle cosche col colletto bianco che arrivano a «influenzare le quotazioni dei titoli in borsa».

LA RIVOLTA DI ROSARNO: «NON C`ENTRANO I CLAN»
La commissione parlamentare Antimafia si è occupata anche dei disordini avvenuti a Rosarno, in seguito alla rivolta dei cittadini extracomunitari per il ferimento di due braccianti agricoli africani, avvenuta il 7 gennaio 2010. Secondo la bozza del documento prodotto dall’organismo presieduto da Pisanu, che tiene conto delle audizioni effettuate a poche settimane di distanza in Calabria, «la causa della rivolta deve essere ricondotta al contesto socio-economico della realtà della piana di Rosarno, caratterizzata dall’estrema povertà del territorio, nel quale la criminalità organizzata, ed in particolare della `ndrangheta, avrebbe, comunque, avuto un ruolo marginale e senza episodi di intolleranza o di razzismo». I disordini, dunque, «devono essere ricondotti al contesto socio-economico» di un’area in cui «i singoli episodi di violenza sono stati circoscritti e l’arresto di alcuni esponenti della criminalità organizzata, che avrebbero partecipato ad episodi di pestaggio di extracomunitari, non è da ricollegare all’attività delle cosche su quel territorio».

L`ATTENTATO ALLA PROCURA GENERALE DI REGGIO
Settimane roventi, quelle, in Calabria e soprattutto in provincia di Reggio. Pochi giorni prima, il 3 gennaio, era avvenuta l’esplosione di una bomba davanti alla Procura generale della Corte d’appello. Un avvertimento che, per l’Antimafia, «appariva nella prima ricostruzione verosimilmente collegata alla vicenda dell’assegnazione di un fascicolo processuale riguardante l’omicidio» della guardia giurata Luigi Rende. Nel procedimento su quel delitto che colpì fortemente l’opinione pubblica, era emerso che «il magistrato delegato per il processo di appello, in alcuni suoi procedimenti giudiziari e disciplinari dinanzi al Consiglio superiore della magistratura, al Tar e in sede penale a Catanzaro, aveva nominato come suo difensore lo stesso dell’imputato nel procedimento relativo all’omicidio della guardia giurata. Il Procuratore generale (Salvatore Di Landro,ndr) aveva quindi proceduto alla sostituzione del magistrato delegato, anche con il consenso di quest’ultimo, in quanto era evidentissima l’anomala cointeressenza che si era venuta a creare nel procedimento penale». Nella bozza di relazione Pisanu viene ritenuto «verosimile che il nuovo corso giudiziario intrapreso dal Procuratore generale, insediatosi nel suo ufficio il 26 novembre 2009, assurga a causale dell’attentato ove, il ricorso oculato all’istituto del patteggiamento in sede di appello di cui si era largheggiato in passato e le verosimili mancate aspettative della controparte nel procedimento relativo all’omicidio della guardia giurata, avrebbero provocato la reazione violenta della criminalità organizzata».

L`ATTO «DIMOSTRATIVO» IN OCCASIONE DELLA VISITA DI NAPOLITANO
Nel documento vengono presi in esame anche altri episodi che, nel corso del 2010, hanno contribuito a dare vita alla cosiddetta “strategia della tensione” in riva allo Stretto. A cominciare dal rinvenimento di un’auto carica di armi ed esplosivo, il 22 gennaio di quell’anno, non lontano dal percorso che avrebbe dovuto effettuare l’auto del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita a Reggio. Un episodio che l’Antimafia definisce «dimostrativo» e che «appare essere una ostentazione di forza della criminalità nell’ambito di una strategia volta a stigmatizzare i risultati delle forze dell’ordine e della magistratura ottenuti con arresti, anche di latitanti, e confische di patrimoni». Nella relazione, spazio anche alla seconda intimidazione a Di Landro (una bomba
davanti al portone di casa esplosa il 26 agosto) e al bazooka scarico lasciato come avvertimento per il procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone (5 ottobre). Su quest’ultima vicenda, nella bozza di documento si legge: «La tesi accusatoria muove principalmente dalle dichiarazioni confessorie e accusatorie di uno degli indagati (Antonino Lo Giudice) che avrebbe ricondotto tutti gli episodi delittuosi alla cosca di `ndrangheta denominata “Lo Giudice”, quale conseguenza degli arresti e dei provvedimenti patrimoniali di sequestro emessi nei loro confronti». In particolare, «le indagini avrebbero accertato il convincimento dei Lo Giudice, maturato in base a mal interpretati rapporti con appartenenti all’ordine giudiziario ed alla polizia giudiziaria, di dovere godere di una sorta di impunità, che sarebbe venuta meno a seguito dell’arresto di Luciano Lo Giudice (fratello di Antonino, ndr) e del mancato intervento da parte di soggetti istituzionali al fine di ottenere un miglioramento della posizione cautelare».

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x