«La presenza di un tessuto imprenditoriale parassitario abituato a trarre vantaggio in maniera illecita da erogazioni e finanziamenti pubblici». Così viene descritta la realtà cosentina nella relazione presentata oggi dal presidente della Corte di appello di Catanzaro Gianfranco Migliaccio. «La notevole mole di indagini condotte sul fronte dell`illecita captazione dei fondi di cui alla legge 488 del 1992, ha svelato l`esistenza di intere filiere di professionisti e imprenditori – non necessariamente collegati a circuiti criminali radicati e preesistenti e, quel che colpisce, anche provenienti dal Nord Italia – che hanno dedicato importanti energie alla predisposizione fraudolenta di atti diretti alla captazione dei finanziamenti, con intuibili ricadute sul tessuto economico e, più in generale, sul corpo sociale cosentino, mortificato dall`illusorio avvio di attività di impresa destinate alla implosione». In questo quadro un ruolo importante sarebbe giocato da «pubblici funzionari e anche da docenti dell`Università della Calabria, in spregio di quel dovere di controllo tecnico-scientifico che, al pari di quello della legalità, costituiscono gli unici baluardi contro l`incistamento di un perverso circuito criminale imprenditoriale».
Diverso il quadro tracciato, invece, per il capoluogo calabrese caratterizzato «da un assai scarso dinamismo economico». A Catanzaro a farla da padrone sono i gruppi di etnia rom: «i traffici di stupefacenti organizzati dagli zingari catanzaresi, che hanno occupati interi insediamenti dell`hinterland cittadino, appaiono peraltro causa di forte preoccupazione nella pubblica opinione, anche in quanto hanno trasformato le cosiddette piazze di spaccio in veri e propri fortini dai quali gli abitanti originari sono stati espulsi e nei quali è praticamente precluso l`accesso a quella parte di cittadinanza non ascrivibile tra i consumatori di droghe».
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