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«In provincia di Reggio Calabria 281 intimidazioni in tre anni»

REGGIO CALABRIA Sono ben 281 gli attentati, i danneggiamenti e gli atti intimidatori messi a segno nei confronti di amministratori pubblici nel Reggino. È quanto ha riferito il comandante provincia…

Pubblicato il: 03/02/2012 – 15:44
«In provincia di Reggio Calabria 281 intimidazioni in tre anni»

REGGIO CALABRIA Sono ben 281 gli attentati, i danneggiamenti e gli atti intimidatori messi a segno nei confronti di amministratori pubblici nel Reggino. È quanto ha riferito il comandante provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria, colonnello Pasquale Angelosanto, nel corso di un convegno sulla cosiddetta “zona grigia”. L’ufficiale dell’Arma ha evidenziato la dinamica del fenomeno: «Si è registrata un`evoluzione complessiva crescente tra il 2008 e il 2010, per poi subire un`inversione di tendenza nell`anno 2011. Il picco più elevato si è registrato nel 2010, con 88 attentati-danneggiamenti».
Tra gli episodi che Angelosanto ha ricordato, quello della lettera ricevuta dal sindaco di Rosarno, Elisabetta Tripodi, e firmata da Rocco Pesce, esponente dell`omonima cosca, che è riuscito a inviarle la missiva dal carcere milanese di Opera, dove è detenuto. Il comandante provinciale dei carabinieri ha sostenuto che «gli attentati, le pressioni, le minacce e le più diverse forme di intimidazione possono essere motivati da diverse finalità, tra cui la necessità di vincere la resistenza degli amministratori ai tentativi di condizionamento, controllo e ingerenza». Ma anche «esercitare ritorsioni per il mancato rispetto degli accordi tra politici e mafiosi».
Naturalmente, l’atteggiamento di un politico preso di mira dipende dalla causa stessa dell’intimidazione: «Il pubblico amministratore ha davanti a sé diverse opzioni – ha spiegato ancora Angelosanto –: denunciare il fatto e collaborare con le forze di polizia e con la magistratura; presentare formale denuncia senza offrire alcuna collaborazione, non potendosi sottrarre alla presentazione alle forze di polizia, sia per il clamore dell`accaduto sia per gli aspetti relativi al risarcimento del danno; non denunciare il fatto, soccombendo alla pressione mafiosa egli stesso e con lui l`ente di appartenenza. La valutazione che mi sento di trarre – ha concluso Angelosanto – riguarda l`unica soluzione che il pubblico amministratore può praticare, allorquando si trova di fronte a fatti come quelli prima esaminati: la denuncia e la collaborazione con le forze dell`ordine e con la magistratura. Altre scelte non pagano, perché rendono l`amministrazione schiava, asservita alla `ndrangheta per sempre e quindi assoggettabile a provvedimento di scioglimento».

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