Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Roberto Moio e Antonino Lo Giudice entrano nel processo “Pietrastorta”. Lo ha disposto la Corte d’appello di Reggio Calabria davanti al quale si sta celebrando il processo di secondo grado contro l’imprenditore Santo Crucitti, ritenuto il boss di Pietrastorta. Quest’ultimo era stato condannato a 6 anni e 8 mesi di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso.
In primo grado erano stati condannati anche i suoi “luogotenenti” Mario Salvatore Chilà (7 anni di carcere) e Giuseppe Romeo (6 anni).
Davanti al gup Melidona era però caduta l’estorsione ai danni dell’imprenditore Tiberio Bentivoglio, l’attivista di Libera che esattamente un anno dopo quella sentenza è stato vittima di un tentato omicidio. I killer lo ferirono a una gamba e Bentivoglio, oggi sotto scorta, riuscì a salvarsi solo grazie a un marsupio che deviò un proiettile a lui diretto.
L’inchiesta “Pietrastorta” già si fondava sulle dichiarazioni di Antonio Zavettieri, che in seguito ha abbandonato il programma di protezione, e del collaboratore Giovanbattista Fracapane.
In particolare, i due avevano ricostruito l’organigramma della cosca indicando in Santo Crucitti il capolocale di Pietrastorta.
A quei verbali, adesso, vanno aggiunti quelli dei nuovi pentiti Roberto Moio e Luciano Lo Giudice che hanno confermato ai magistrati della Dda l’appartenenza di Santo Crucitti al cartello destefaniano.
Crucitti, nei mesi scorsi, era stato raggiunto in carcere da un’altra ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’inchiesta “Sistema”. Un’operazione nel corso della quale gli inquirenti hanno intercettato l’attuale assessore ai lavori pubblici Pasquale Morisani nello studio del boss.
I due parlavano di voti e del sostegno elettorale che la famiglia mafiosa di Pietrastorta avrebbe dato alle ultime elezioni comunali al candidato di centrodestra che, però, stando all’ordinanza del gip, non si sarebbe macchiato di comportamenti penalmente rilevanti.
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