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Se Caponcello grida: «Il Re è nudo»

Ma sì, ripetiamolo, i fatti sono ostinati. Li comprimi, cerchi di “elaborarli”, tenti di sviarne la portata ora esaltandoli ed ora svalutandoli ma poi la pentola esplode e i fatti reclamano la loro…

Pubblicato il: 08/02/2012 – 19:14
Se Caponcello grida: «Il Re è nudo»

Ma sì, ripetiamolo, i fatti sono ostinati. Li comprimi, cerchi di “elaborarli”, tenti di sviarne la portata ora esaltandoli ed ora svalutandoli ma poi la pentola esplode e i fatti reclamano la loro giusta dimensione e la loro dovuta considerazione.
Dicevamo appena la scorsa settimana che non era il caso di pompare le percentuali relative all`appartenenza alle cosche della `ndrangheta e che non era necessario sfidare il ridicolo spingendosi a indicare nel 27% della popolazione reggina gli affiliati alla `ndrangheta per sottolineare la gravità del fenomeno. Altri e ben più eloquenti fattori si incaricavano di testimoniare come lo Stato continua a perdere sovranità sul territorio reggino a tutto vantaggio di quello stato parallelo amministrato dalla `ndrangheta attraverso i suoi uomini nella politica, nelle istituzioni e nell`imprenditoria. Ed ecco che, brutale, arriva la conferma.
Leggerete nelle anticipazioni di Roberto Galullo, che la relazione della Direzione nazionale antimafia redatta da Carlo Caponcello e consegnata al procuratore capo Piero Grasso, parla di partita persa sul territorio reggino: «Il comprovato coinvolgimento a livelli imprenditoriali elevati, di rango nazionale, è significativo circa la forza di condizionamento dell’imprenditoria mafiosa, ma nel contempo rivela impietosamente come la distruzione del tessuto imprenditoriale locale, quello sano per intenderci, non lascia spazio a soluzioni diverse da quelle, divenute in qualche modo necessitate, dell’affidamento della maggior parte dei lavori, delle forniture di beni e servizi, a imprese di diretta o indiretta espressione mafiosa».
Caponcello va oltre e nella relazione che poche ore fa è stata consegnata a Governo, Parlamento e commissione parlamentare Antimafia, scrive che ovunque, a Reggio, la presenza mafiosa si accompagna «indefettibilmente all’acquisizione ora violenta, ora truffaldina, ora mediante pratiche corruttive o clientelari, di risorse pubbliche destinate alla realizzazione di opere di pubblica utilità, ovvero alla gestione di attività pubbliche di vario genere, di finanziamenti regionali e comunitari. La presenza della `ndrangheta si rivela nella infinita serie di reati di estorsione, di usura, in danno del commercio, di riciclaggio attraverso altrettanto infinite aperture di esercizi commerciali a ciò dedicati, di inserimento negli appalti, subappalti, affidamenti e forniture di servizi e beni, la cui elencazione appare inutile, tanto la pratica di tali reati appare diffusa». Così mentre si discetta e si discute, e discettando e discutendo si fattura per i dovuti rimborsi la lotta alla `ndrangheta, le cosche continuano a rappresentare l`unico vero organo di governo sul territorio reggino. Agli altri lasciano le parate: quelle dell`antimafia danzante e saltellante e quelle della politica che ha elevato l`impostura a sistema di distrazione di massa. Comprese quelle a cui fa riferimento, con il coraggio che ne contraddistingue l`opera, Roberto Galullo: «Da dire e tanto – scrive Galullo – ci sarebbe, invece, sulla sceneggiata che nel luglio 2010 accompagnò l’arresto di don Mico Oppedisano, ritenuto sulla scia di veline allungate ai cronisti compiacenti, il capo dei capi della `ndrangheta. Chi legge questo blog sa quanti articoli e quante analisi abbia speso per confutare questa lettura amorale che non fa onore né alla magistratura né alla stampa (spesso sdraiata a Reggio come a Milano, ma dietro la quale c’era sempre la stessa regia). Il tempo è galantuomo e oggi, inevitabilmente, la Direzione nazionale antimafia scrive che “appare opportuno evidenziare, avuto riguardo alla figura del capo crimine pro tempore Domenico Oppedisano, che al predetto più che un potere reale sulle dinamiche e strategie complessive della `ndrangheta debba essere riconosciuto uno specifico, peculiare e rilevante ruolo di rappresentanza esterna: una sorta di custode delle regole tradizionali”. Detto in altre parole: un misto tra uno sciamano e un ambasciatore dei poveri, che si divertiva a bruciare santini sulle mani dei punciuti e che tra una vendita e l’altra di ortaggi sulla sua Apecar scassata in quel di Rosarno, si beava nel recitare i rosari delle affiliazioni e poco più. Due anni ci sono voluti per ammetterlo e scriverlo nero su bianco. Viva la libera magistratura in libero Stato!».
E adesso che il dottor Caponcello ha gridato al mondo che il Re è nudo? Adesso come la mettiamo?

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