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Cacciola vessata fino a farla suicidare Arrestati i genitori della testimone

Duro colpo alla cosca Pesce di Rosarno: quattordici persone sono state ammanettete dai carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria e della compagnia di Gioia Tauro, che hanno operato con…

Pubblicato il: 09/02/2012 – 8:17
Cacciola vessata fino a farla suicidare Arrestati i genitori della testimone

Duro colpo alla cosca Pesce di Rosarno: quattordici persone sono state ammanettete dai carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria e della compagnia di Gioia Tauro, che hanno operato congiuntamente con la polizia del commissariato della città della Piana. Una doppia operazione: da un lato il provvedimento di fermo nei confronti del nuovo reggente del clan, Giuseppe Pesce (latitante dall`aprile 2010), e di dieci presunti affiliati; dall`altro, l`ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei genitori e del fratello (quest`ultimo irreperibile) di Maria Concetta Cacciola, la testimone di giustizia che si tolse la vita nell`agosto dello scorso anno ingerendo dell`acido.

IL CASO CACCIOLA
L`ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei familiari della giovane è stata emessa dal Gip di Palmi. In carcere è finito Michele Cacciola, padre della donna, mentre alla madre, Anna Rosalba Lazzaro, sono stati concessi i domiciliari. Irreperibile il fratello Giuseppe. L`accusa nei loro confronti è di maltrattamenti in famiglia in concorso e violenza o minaccia per costringere a commettere un reato. Non viene, dunque, contestata in maniera diretta l`istigazione al suicidio. Secondo quanto riferiscono gli inquirenti, Maria Concetta Cacciola venne «sottoposta a maltrattamenti al fine di farle ritrattare le dichiarazioni rese sino a indurla» a togliersi la vita.
«Nel mese di maggio 2011, Maria Concetta Cacciola si presentava spontaneamente ai carabinieri di Rosarno, dichiarando di voler collaborare con la giustizia e di poter riferire circostanze utili su diversi fatti di sangue riconducibili alle cosche Cacciola e Bellocco», ricordano gli uomini del comando provinciale dell’Arma. Il 25 maggio, la donna ha reso «dichiarazioni ai magistrati della Dda, confermando la posizione della famiglia di appartenenza al contesto mafioso rosarnese ed il 20 luglio 2011 le veniva concesso il programma provvisorio di protezione». Dalle successive intercettazioni effettuate sia nei riguardi della testimone di giustizia che dei suoi stretti congiunti, sono emerse «non solo l’attendibilità delle dichiarazioni rese, ma anche le continue pressioni che la donna subiva dai familiari, con i quali era rimasta clandestinamente in contatto».
La condizione di Maria Concetta Cacciola, però, nel successivo mese di agosto è diventata drammatica. Il nove di quel mese, la giovane, «pur consapevole che il rientro l’avrebbe esposta al rischio di essere uccisa, ritornava nella casa di Rosarno». E otto giorni dopo «contattava telefonicamente i carabinieri dimostrandosi risoluta nel voler continuare a collaborare, ma rifiutando un immediato rientro in località protetta». Il 20 agosto, Maria Concetta Cacciola è deceduta all’ospedale di Polistena dopo avere ingerito l`acido. Grazie alle dichiarazioni della donna, tra l`altro, sono stati rinvenuti due bunker ed è stato delineato un primo quadro indiziario nei confronti di Saverio Marafioti, muratore di fiducia per l`edificazione dei rifugi per latitanti per conto del clan Bellocco.

I FERMI
Oltre a Giuseppe Pesce, i destinatari del provvedimento di fermo disposto dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio sono Giuseppe Alviano, Giovanni Luca Berrica, Danilo D`Amico, Biagio Delmiro, Domenico Fortugno, Saverio Marafioti, Rocco Messina, Francescantonio Muzzupappa, Giuseppe Rao e Francesco Antonio Tocco.
Sono tutti indiziati di associazione a delinquere di tipo mafioso. Le indagini dei carabinieri sono mirate alla ricerca del latitante Giuseppe Pesce. I fermati sono soggetti di primo piano a cui era stata affidata la direzione strategica ed operativa della consorteria mafiosa di Rosarno.

“FIORE PER MIO FRATELLO”
L’inchiesta poggia le sue basi su un “pizzino” scritto da Francesco Pesce, sulle dichiarazioni della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola, su quelle della collaboratrice Giuseppina Pesce e sui riscontri derivanti dalle numerose intercettazioni telefoniche. Proprio l`appunto su un bigliettino, sequestrato nel carcere di Palmi dove il boss è detenuto, ha fornito un impulso fondamentale alle indagini. Su quel foglietto erano state impartite da Pesce quattro disposizioni. La prima, “Fiore per mio fratello”, determinava la cessione del comando della cosca all`unico maschio libero del clan, Giuseppe, al quale veniva assegnata una `ndrina di sei fidatissimi uomini: Rocco Messina, Giuseppe Alviano, Francescantonio Muzzupappa, Francesco Antonio Tocco, Danilo D`Amico e Paolo Daniele. Nello stesso pizzino diviso in quattro parti (con un`indicazione per ogni facciata) si chiedeva inoltre di riconoscere a una donna straniera (la “polacca”) un «riconoscimento economico prestabilito» che andava «stornato dagli assegni di una società riconducibile a Domenico Fortugno». Veniva sollecitata l`affiliazione (“Geometra Luca – santino”) di un giovane contrasto onorato, cioè Giovanni Luca Berrica. E, infine, il trasferimento di un`ingente somma di denaro dalla cassa della cosca al nucleo familiare del boss ristretto in carcere.

INDAGATI DUE AVVOCATI

Sono indagati i due avvocati, Vittorio Pisano e Gregorio Cacciola, che hanno avuto le abitazioni e gli studi perquisiti da carabinieri e polizia nell`ambito dell`inchiesta. I magistrati della Procura di Palmi, infatti, intendono accertare la regolarità del
comportamento tenuto dai due legali nella vicenda della ritrattazione della donna.

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