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OPERAZIONE CALIFFO | Il gip: «Storia triste, drammatica, emblematica»

Una storia triste, drammatica, emblematica.Così il gip di Palmi, Fulvio Accurso, definisce il suicidio di Maria Concetta Cacciola. Parole forti, quelle utilizzate dal giudice per indagini prelimina…

Pubblicato il: 09/02/2012 – 14:15
OPERAZIONE CALIFFO | Il gip: «Storia triste, drammatica, emblematica»

Una storia triste, drammatica, emblematica.
Così il gip di Palmi, Fulvio Accurso, definisce il suicidio di Maria Concetta Cacciola. Parole forti, quelle utilizzate dal giudice per indagini preliminari che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare per i genitori della testimone di giustizia, Michele Cacciola e Anna Rosalba Lazzaro, e per il fratello della donna, Giuseppe.
Parole che fanno ben comprendere che in alcune realtà della provincia di Reggio Calabria, come Rosarno, la ‘ndrangheta non perdona chi si schiera con lo Stato.     
Una storia triste, drammatica ed emblematica.
«Triste – spiega appunto il gip – perché riguarda la vicenda di una giovane donna costretta per molti anni a subire gravissime vessazioni psicologiche e violenze fisiche dai componenti della propria famiglia, nel novero di un sistema valoriale del tutto esecrabile, che porta ad anteporre la tutela dell`”onore” familiare (onore inteso come l`intende la cultura mafiosa che permea il contesto in cui la vicenda si è svolta), al rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, quali quello della libertà, della facoltà di autodeterminazione, della possibilità di operare liberamente le proprie scelte di vita. Cultura che porta ad anteporre l`interesse ad evitare conseguenze giudiziarie per i membri della famiglia a quello di salvaguardare la stessa vita di uno di tali membri».
E ancora: «Drammatica, perché termina con la morte di una giovane donna che aveva osato ribellarsi alle regole della famiglia, alle continue vessazioni e aveva cercato la libertà, fisica e soprattutto morale, che gli era stata da sempre limitata, e negli ultimi anni addirittura preclusa, proprio da chi, per legge universale e per legge data, anziché togliergliela, avrebbe dovuto garantirgliela. Aveva cercato la libertà, ma non vi era riuscita fino in fondo per l`amore verso i propri figli, che avrebbe voluto far vivere in un contesto diverso da quello in cui essa stessa era stata costretta a vivere, figli che i suoi familiari hanno biecamente usato come arma di ricatto per indurla a rientrare nei ranghi. Emblematica, perché essa non rappresenta che la punta dell’iceberg di una fenomenologia sociale che la storia, anche giudiziaria, degli ultimi lustri prova essere assai diffusa in strati della popolazione calabrese non di trascurabile importanza. È il ripetersi di altre storie, specie di donne, già drammaticamente conclusesi in modo analogo, ma è soprattutto la riprova che molte persone come questa giovane donna ancora oggi vivono all`interno di famiglie che non consentono il minimo spazio alle aspirazioni di vita diversa e libera, che non tollerano ribellioni, essendo piuttosto da preferirsi la soppressione fisica o comunque l`annientamento del soggetto “ribelle” alla messa in discussione dei valori mafiosi e del falso, vacuo e fuorviante concetto dell`onore che, solo, può consentirne la perpetuazione».

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