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Rocco Aquino tradito dalla passione per la sua squadra di calcio

REGGIO CALABRIA È stata la passione per la sua squadra del cuore a tradire Rocco Aquino, il latitante capo dell’omonima cosca catturato ieri nell’ambito dell’operazione “Acero”. Un amore, quello pe…

Pubblicato il: 11/02/2012 – 12:26
Rocco Aquino tradito dalla passione per la sua squadra di calcio

REGGIO CALABRIA È stata la passione per la sua squadra del cuore a tradire Rocco Aquino, il latitante capo dell’omonima cosca catturato ieri nell’ambito dell’operazione “Acero”. Un amore, quello per il Marina di Gioiosa Jonica, che lo spingeva spesso a inviare a una televisione locale sms di commento alle partite di campionato. Messaggi partiti da numeri telefonici riconducibili al nucleo familiare del boss. È stato proprio l’ultimo match disputato contro la squadra di Oppido Mamertina a sciogliere i dubbi degli investigatori sulla presenza di Aquino all’interno della villa di Gioiosa, dove viveva la sua famiglia. Durante quella partita, i figli del latitante erano stati espulsi. E così, telefonino in mano, il boss ha iniziato a mandare messaggi per giustificare il comportamento dei “suoi” giocatori, arrivando perfino a siglare l’ultimo con la firma «il dirigente». In passato infatti Aquino era stato presidente della squadra di calcio locale.
Tanto è bastato per far scattare l’operazione di cattura, eseguita dai carabinieri del Ros, del comando provinciale di Reggio e dello squadrone eliportato “Cacciatori”. Aquino si era nascosto all’interno di un piccolo bunker ricavato in un sottotetto a cui si accedeva attraverso una botola ben camuffata e attivabile attraverso sofisticati congegni elettronici. All’interno del nascondiglio, i militari hanno inoltre trovato apparecchiature in grado di inibire le comunicazioni radio e di ascoltare le frequenze delle forze di polizia. Il boss, ritenuto uno dei latitanti più pericolosi a livello nazionale, era ricercato per i reati di associazione mafiosa ed estorsione, a seguito di un provvedimento restrittivo emesso nell’ambito della prima fase dell’indagine “Crimine”, conclusa nel luglio 2010. Già in passato, l’abitazione dove poi è stato trovato il capo del “locale” di Gioiosa era stato oggetto di varie perquisizioni, disposte dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri e dal sostituto Maria Luisa Miranda. Un’attività investigativa continua che aveva spinto la famiglia Aquino a presentare alla Procura di Catanzaro una denuncia ai due magistrati e a un militare della squadra “Cacciatori”. L’obiettivo era ostacolare il più possibile indagini che mese dopo mese diventavano sempre più stringenti. È stato proprio Gratteri a riferire l’episodio, che ha commentato così: «Gli Aquino hanno commesso uno sbaglio. Non hanno capito che dietro ogni carabiniere ce ne sono migliaia pronti a prendere il suo posto. Lo stesso vale per i magistrati reggini, che compongono una Procura determinata e rispettosa delle regole».
Per Gratteri – intervenuto in conferenza stampa al posto di Giuseppe Pignatone, sempre più vicino alla nomina di procuratore capo di Roma –  quello di ieri si configura come un successo delle forze giudiziarie e di polizia. Un’operazione tra le più difficili, «paragonabile alle difficoltà nella cattura di pericolosi latitanti come Morabito e Condello». Il blitz ha coinvolto in tutto più di cento militari dell’arma dei carabinieri.
Nei primi anni 90, Aquino era stato al centro dell’operazione “Zagara”, che accertava la scalata criminale del boss all’interno del sodalizio criminale, dedito soprattutto al controllo del narcotraffico internazionale e al riciclaggio di proventi illeciti, senza tralasciare la gestione, attraverso prestanome, di alberghi, esercizi pubblici, imprese edili e immobiliari. Fu il collaboratore di giustizia Vittorio Ierinò il primo a disegnare l’assetto mafioso della città di Gioiosa, divisa tra il potere dei Mazzaferro e quello degli Aquino, questi ultimi in stretti rapporti di affari con i Coluccio e i Commisso di Siderno.
«Rocco Aquino – ha detto ancora Gratteri – non è un capo solo nel suo territorio, ma è uno dei boss più influenti e ascoltati della ‘ndrangheta. Il potere economico della sua famiglia è altissimo, tra i primi in Calabria e un gradino sotto solo a quello dei Commisso». Un clan potente che – come ha ricordato il procuratore aggiunto – finora non è stato raggiunto da alcuna condanna per reati di mafia.

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