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Re Ruggiero di Sicilia, nel 1184, dispose “che nessuno potesse esercitare medicina che non fosse stato prima esaminato dai Giudici Regi”, pena il carcere e la confisca dei beni. Successivamente, Fe…

Pubblicato il: 23/02/2012 – 16:41
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Re Ruggiero di Sicilia, nel 1184, dispose “che nessuno potesse esercitare medicina che non fosse stato prima esaminato dai Giudici Regi”, pena il carcere e la confisca dei beni. Successivamente, Federico II lo Svevo ne vietò l’esercizio a chi non avesse conseguito l’approvazione dei Maestri di Salerno, consacrata dalla Regia Curia dopo avere sostenuto un pubblico esame. È quanto mi fece leggere, a metà degli anni 70, il mio maestro, Mauro Leporace, prima che gli confermassi la volontà di continuare la pratica di avvocato. Condivisa la metafora, mi regalò il libro “Medici, chirurgi, barbieri e speziali antichi in Sicilia” coordinato da Giovanni Gentile nel 1910. Una reliquia che conservo con affetto e gratitudine.
A ben vedere, sin dagli inizi degli anni Mille era molto dura la vita in Sicilia per gli aspiranti alle professioni. Un po’ quello che ci vorrebbe per selezionare la classe dirigente nel Paese, a cominciare da quella cui i cittadini attribuiscono la piena fiducia. In favore della quale conferiscono una procura, rato et valido, salvo poi rispondere dei disastri prodotti.
Abbiamo vissuto tanti anni da meri spettatori (alcuni anche da destinatari di benefici conseguenti), all’insegna dello spendere a prescindere da parte dei rappresentanti eletti per gestire la cosa pubblica. Questi hanno sperperato per meglio garantirsi una brillante carriera politica.
Ora che non è più possibile, e non perché qualcuno è rinsavito, bensì perché l’indebitamento ha superato la soglia di ogni sopportabilità, occorre cambiare marcia. Ma soprattutto il genere dei rappresentanti. Il tutto dovrà avvenire a cura dei rappresentati lesi in ogni loro diritto. Peraltro, obbligati dall’esordiente federalismo fiscale a pagare i dissesti economici prodotti dai loro eletti.
Insomma, ci vorranno i nuovi che vadano a sostituire i vecchi.
Il passaggio è difficile a realizzarsi, ma va affrontato. Saranno quasi impossibili da superare le resistenze che opporranno coloro i quali detengono il comando delle leve e godono dei privilegi che l’appartenenza alla casta garantisce. Un benefit che non ha eguali, per modalità ed entità, conseguito molto spesso senza il possesso di alcun particolare titolo e consolidato attraverso il potere esercitato, prima nei partiti e poi anche nella società civile asservita. È pertanto naturale supporre che nessuno molli quanto capitalizzato. Pure per i partiti sarà difficile rinunciare al consenso comunque gestito, spesso fatto di numeri consistenti, fidelizzati ad personam.
In una società affamata di lavoro e afflitta dal sopruso costante, che porta il cittadino a sentirsi una unità anonima di una folla alla ricerca dei riferimenti, è stato sufficiente garantire a taluni elettori ciò che altrove sarebbe spettato loro di diritto. Un modo semplice per gestirne il consenso, spesso collaborato dalla delinquenza organizzata, sempre pronta a drenarlo in favore di chi le garantisce qualche pezzo in più della P.A.
Fatte queste considerazioni, bisogna capire cosa fare per mettere i migliori ai vertici delle rappresentanze della collettività. Insomma, come eleggere i migliori sindaci, i migliori presidenti di regioni e di province (se continueranno ad esserci). Ma anche i migliori deputati, senatori ed europarlamentari.
Quali strumenti selettivi individuare, che possano sostituire i suddetti “Giudici Regi”, strumento filtrante, nella Sicilia dei primi anni del XII secolo, per ottenere il migliore risultato?
È un problema non di poco conto. Le opzioni sono poche. Per molti sembrano essere limitate alle elezioni primarie. Non è così.
Stante la particolarità delle regioni meridionali, troppo condizionate dall’ingombrante esercizio delle politiche clientelari e assistenziali – che hanno inquinato anche quella parte della politica che ne era storicamente esente -, bisogna individuare nuove metodologie.
Prioritariamente, necessiterebbe pervenire ad una diversa tipologia delle candidature che, nella quasi totalità dei casi, rappresentano l’esatta espressione dell’apparato, che ne impone la presenza per autogenerarsi.
Proprio per questo motivo sarebbe utile individuare una qualche diversa procedura propedeutica ad incentivare l’emersione del “migliore nuovo” e ad intercettare la manifestazione del consenso più libero e obiettivo possibile.
Sarebbe pertanto indispensabile dare voce agli attori dell’economia, ai rappresentanti del disagio sociale, agli studenti, ai disoccupati e agli inoccupati, magari ricorrendo a forme di sintesi della loro espressione diverse dalle abituali. Queste ultime non sono, difatti, per nulla comprese e condivise dalla maggior parte delle persone “fuori regime”, intendendo per tali i non schierati e i delusi dai partiti che non ci sono più. Anche gli anziani dovrebbero assumere, in questo senso, un ruolo centrale, così come gli immigrati, consentendo loro forme di partecipazioni che siano più congeniali.
Internet al riguardo potrebbe suggerire le migliori occasioni, soprattutto se utilizzate da casa ovvero assistite da personale di accompagno tecnico da rendere all’uopo disponibile nei loro siti aggregativi.
Così facendo, si laicizzerebbe il più possibile il loro diritto di espressione verso il candidato ideale e si metterebbe da parte ogni genere di dipendenza e di condizionamento ambientale dei quali peccano i tradizionali siti. Così facendo, saremmo sulla strada giusta.
Tutto il resto, nel Mezzogiorno (così come esso è ancora oggi), sarebbe una triste farsa.  La solita.

*DOCENTE UNICAL

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