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Soluzioni apparenti

È stato di recente presentato il rapporto della Confesercenti per l’anno 2011. Si tratta di un appuntamento annuale che consente al grande pubblico di conoscere le valutazioni di questa importante …

Pubblicato il: 23/02/2012 – 16:53
Soluzioni apparenti

È stato di recente presentato il rapporto della Confesercenti per l’anno 2011. Si tratta di un appuntamento annuale che consente al grande pubblico di conoscere le valutazioni di questa importante organizzazione di categoria riguardo ai problemi sociali ed economici del Paese, anche con riguardo a quelli costituiti dalla criminalità organizzata. Anche quest’anno il presidente Venturi, nella sua relazione, non ha perso l’occasione per ribadire la necessità «di aggredire il nodo criminalità per liberare il Mezzogiorno dal ricatto mafioso e dalla sua forte incidenza sullo sviluppo. È inoltre necessario arginare la sua espansione nel Centro-nord e contrastare il pesante condizionamento criminale sull’economia legale e sulla qualità della vita dei cittadini». Si ricorda ancora che occorre «avere il coraggio di affermare che oggi le mafie sono diventate agenti economici fortemente compenetrati nell’economia meridionale, ed ormai significativamente presenti anche nel Centro-nord. Nonostante i successi delle forze dell’ordine, rappresentati da 7.519 arresti tra le fila mafiose ed il migliaio di imprese sequestrate ai clan, la nostra preoccupazione rimane alta perché i condizionamenti criminali si estendono alla filiera agroalimentare, alla logistica, all’autotrasporto, ai giochi ed alle scommesse. Ogni anno circa un milione di imprese è costretto a confrontarsi con le organizzazioni criminali e si ritrovano con un’asfissiante pressione mafiosa che pretende ora il “pizzo”, ora un prestito usuraio ed altre volte vuole imporre merce, servizi, assunzioni di mano d’opera». La citazione si chiude con il seguente messaggio: «Riconosciamo i meriti del ministro Maroni, così come siamo grati ai tantissimi uomini delle forze dell’ordine e alla magistratura per il loro totale impegno nello svolgimento del difficile compito. Gli arresti sono numerosi, ma la strada per annientare i clan è ancora lunga. Ecco i motivi che ci spingono a chiedere al ministro di promuovere un nuovo grande patto nazionale contro le mafie che coinvolga le grandi confederazioni dell’impresa, i sindacati, l’associazionismo sociale e quello antiracket, nonché il mondo della comunicazione e della cultura».
In altre occasioni avremmo sottolineato con soddisfazione dichiarazioni del genere, che confermano, ancora una volta, le diagnosi da tempo effettuate sui pericoli della diffusione del fenomeno mafioso nel nostro Paese. Questa volta, invece, prevale la preoccupazione per l’eterna sottovalutazione che il mondo politico riserva a questa materia, considerata, non si capisce perché, come un aspetto marginale dei gravissimi problemi che affliggono il paese, da affrontare sì, ma quasi con fastidio, come se si trattasse di argomenti sui quali “si è già dato” e non è necessario tornarci su ancora una volta soprattutto quando ci sono cose molto più importanti da fare. Sembra questo l’atteggiamento dell’attuale governo, al quale dobbiamo essere grati per tutto ciò che sta facendo per risanare l’economia e per il clima di rigore, sobrietà, dignità laica che lo caratterizza, ma dal quale dobbiamo esigere risposte nuove, ripetiamo nuove, sul problema della criminalità mafiosa in Italia. Questo è il motivo per il quale pensiamo sia utile esaminare più da vicino le proposte di soluzione che vengono prospettate da autorevoli protagonisti giudiziari del contrasto alla criminalità mafiosa, soluzioni che godono di ampio consenso presso l’opinione pubblica e sulle quali tuttavia occorre riflettere per valutarne la effettiva funzionalità rispetto al fine prefissato. Poiché il nostro intento non è la polemica, bensì il confronto, si farà riferimento solo alle proposte e non ai proponenti, al fine di avviare sul tema un dibattito destinato a coinvolgere altre voci, anche quelle di semplici lettori, altri contributi.
Le proposte più ricorrenti fanno riferimento all’esigenza di migliorare l’efficienza della giustizia, ridurre i tempi del processo penale, rendere più certe le pene. Sul primo punto si propone di sopprimere i Tribunali inutili (circa 70), molte delle sezioni staccate, alcune centinaia di sedi di giudice di pace; il recupero di almeno un centinaio di magistrati, attualmente fuori ruolo con incarichi amministrativi presso ministeri ed enti vari. Sul processo si propone l’adozione di procedure informatizzate per la tenuta dei fascicoli, per le notifiche, riduzione dei tempi delle indagini preliminari mediante la soppressione della fase del deposito finale degli atti, mentre sull’esigenza di rendere più rigorose le sanzioni, le proposte vanno dalla soppressione, o almeno forte limitazione, del giudizio abbreviato, alla limitazione dei benefici penitenziari per i condannati per reati di mafia. L’elencazione è approssimativa e non pretende di esaurire il catalogo delle proposte, ma costituisce comunque una sufficiente base di discussione.
Molte di queste proposte sono condivisibili e rispondono ad effettive esigenze della giustizia e del processo ed anche l’Associazione nazionale magistrati (Anm) se ne è fatta portavoce. Sulla soppressione di sedi minori sta lavorando il nuovo governo e sono state già comunicate le sedi del giudice di pace destinate ad essere soppresse: sono tutte tranne quelle della sede del Tribunale circondariale e dunque il taglio è davvero radicale. Il rientro dei fuori ruolo oltre ad esigenze di funzionalità risponde all’esigenza di evitare la perdita di autonomia ed indipendenza del magistrato-funzionario, anche se non sarà questa la via per l’abbattimento delle pendenze. Sul processo ogni proposta è utile, anche perché mentre per quello  civile vi sono stati negli ultimi tempi vari interventi di riforma che hanno avuto effetti positivi sui tempi di durata ed altri se ne annunciano a breve (resta tuttavia il problema delle pendenze delle migliaia di  processi da proseguire e definire con i riti abrogati), su quello penale i tentativi di riforma non hanno, per fortuna, avuto esito atteso il carattere unicamente demolitorio che li caratterizzava.
Ma, al di là di tali considerazioni, siamo sicuri che questo genere di riforme abbia una incidenza reale nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata? Certo, processi più rapidi, rigore e certezza della pena, aiuterebbero, ma è davvero pensabile che sia questa la strada, non dico per sconfiggere le mafie (non lo pensano neppure i proponenti) ma almeno per metterle in difficoltà? La risposta è sicuramente negativa. Gli spettatori della trasmissione televisiva Presa diretta, andata in onda domenica 15 gennaio sull’occupazione di Piemonte e Liguria da parte della ‘ndrangheta, sono stati posti di fronte ad una situazione raggelante, dalla quale si ha l’impressione che non se ne possa uscire (era questa l’opinione del collaboratore di giustizia lungamente intervistato) e, francamente, ritenere che siano problemi di tipo processuale ovvero ordinamentale ad avere provocato tutto questo, serve, ancora una volta, ad eludere la sostanza del problema.
La sostanza è che si è di fronte non più, e da tempo, ad un problema di criminalità organizzata, ma ad un potere criminale divenuto sistema: politico, economico, sociale e persino culturale. Ancora oggi, anche ai più alti livelli investigativi e giudiziari, si ha l’impressione che non sia stata acquisita la necessaria consapevolezza della dimensione del fenomeno e della necessità di strategie nuove e diverse da quelle perseguite sinora con grande impegno ma con altrettanto grande inefficacia. Non c’è indagine, in qualunque parte d’Italia venga condotta, che non porti immancabilmente al rapporto con la politica, locale e nazionale, al coinvolgimento diretto di uomini delle istituzioni, dell’economia, della finanza. È dunque qui il problema ed è questo il nodo sul quale occorre intervenire se si vuole sperare in un qualche sbocco positivo. Assistiamo allo spettacolo di  “politici esperti”, che, nell’ambiente in cui hanno vissuto ed operato per decenni, ammettono sì di avere avuto rapporti con pers
onaggi mafiosi o contigui alle mafie, ma solo nel corso delle campagne elettorali, mai sospettando di essersi trovati di fronte a personaggi da evitare. Preferiscono passare per stupidi, piuttosto che per collusi, e il tentativo, bisogna dire, riesce loro benissimo, un pò per le physique du rôle (bisogna riconoscere che sono perfetti), molto per la buona accoglienza che in genere gli inquirenti riservano al loro racconto, ai quali sfuggono la protezione, la copertura, i vantaggi e i profitti assicurati da costoro alle cosche in cambio degli appoggi elettorali espressamente richiesti. E resta ancora da spiegare come di fronte alla solare evidenza di avventure  economiche  e politiche “sine titulo” vi sia stato un vuoto investigativo che ha consentito la creazione di quel sistema oggi infrangibile, sul quale si possono avviare semplici “carotaggi”, ovvero prelievi a campione. Pensare oggi di contrastare efficacemente le mafie prescindendo dal loro rapporto con la politica, quasi si trattasse di una variabile casuale, è mera utopia che allontana la soluzione del problema e lo rende perenne.
I pilastri cui si accennava nei numeri precedenti reggono e reggono molto bene, almeno sinora, e solo da poco comincia a farsi strada che è la nostra democrazia ad essere gravemente in pericolo e non solo l’ordine pubblico, inteso in senso tradizionale. Hanno comprato l’economia, compreranno la democrazia e l’uso del futuro vuole essere una esibizione di ottimismo.
È giunto il momento di riproporre a livello politico e sociale la grande questione della criminalità organizzata, che tanto peso ha avuto ed ha sulla mancata crescita del nostro Paese, in termini nuovi, strategici, che guardino al medio e lungo termine. Sarà necessario ripensare a ruoli e funzioni di organi giudiziari e investigativi, per razionalizzare interventi e risorse, senza duplicazioni, introdurre nuove ipotesi di reato che tengano conto della trasformazione delle mafie in comitati d’affari, dei boss in imprenditori e uomini politici, del riciclaggio in investimenti, delle campagne elettorali in cooptazione della borghesia mafiosa in classe dirigente.
Le riforme del sistema giustizia, del codice penale e di quello di procedura penale, aiuteranno, a condizione che i doverosi e necessari aggiustamenti tecnici ad un sistema arretrato e macchinoso non vengano scambiati per rimedi decisivi nella lotta alla mafia. Su questo terreno il confronto dovrà proseguire per l`individuazione di soluzioni concrete e fattibili, a breve termine, tenendo presente però che l’obiettivo finale  è assai più lontano e impegnativo.

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