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OPERAZIONE BLACK HAWK | Facchineri, signori del riciclaggio e dell`usura

Questa volta la “zona grigia” non c’entra. Ma l’indagine “Black hawk” delle Fiamme gialle, coordinata dalla procura distrettuale antimafia di Milano, conferma la pervasività della criminalità calab…

Pubblicato il: 01/03/2012 – 18:22
OPERAZIONE BLACK HAWK | Facchineri, signori del riciclaggio e dell`usura

Questa volta la “zona grigia” non c’entra. Ma l’indagine “Black hawk” delle Fiamme gialle, coordinata dalla procura distrettuale antimafia di Milano, conferma la pervasività della criminalità calabrese nel tessuto produttivo ed economico della più ricca regione italiana. La Lombardia è affetta da un male profondo e difficile da estirpare di nome ‘ndrangheta, che non risparmia quasi nessun ambito della vita sociale meneghina. Il blitz che ha colpito il clan Facchineri, egemone a Cittanova ma ben radicato anche nel Milanese, ha fatto luce su una lunga serie di reati, consumati dagli uomini dei cugini Giuseppe e Vincenzo Facchineri e, in particolare, da due faccendieri che erano, al tempo stesso, sodali e vittime della cosca, dovendo restituire il denaro provento delle attività illecite con tassi d’interesse del 15% mensile.
Proprio le figure di Orlando Purita e di Gianluca Giovannini, i “mediatori” del clan, si pongono al centro dell’indagine. Sono loro, secondo le risultanze investigative, a prestare denaro a un tasso usurario del 20% ad alcuni operatori economici, conseguendo alti guadagni, ma soprattutto a riciclare ingenti ricchezze finanziarie del clan. Un patrimonio che, secondo il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe D’Amico, sarebbe stato il frutto del traffico di armi e droga a cui per lungo tempo i Facchineri si erano dedicati.
Ancora una volta emerge, dagli atti dell’inchiesta, la presenza di un servitore dello Stato infedele: il vicebrigadiere dei carabinieri Salvatore Russo, originario di Cessaniti, in provincia di Vibo, ma in servizio a Monza. Sul suo conto, per giustificare l’esigenza di un’ordinanza di custodia cautelare, il gip sottolinea «una certa professionalità criminale, anche considerato il sistematico asservimento della propria attività lavorativa istituzionale, tradendo l’Arma in favore di chi l’Arma stessa è chiamata istituzionalmente a combattere». Grazie alle informazioni riservate, attinte da Russo al centro di elaborazione dati delle forze dell’ordine e riferite a Purita e Giovannini, questi ultimi mettono in atto un sistema di truffe in danno di alcuni imprenditori. Promettono loro (con Purita che si spaccia per il sedicente capitano Morabito della guardia di finanza) un aiuto nel caso in cui le Fiamme gialle dovessero compiere degli accertamenti patrimoniali o fiscali. Si accreditano presso le vittime, acquisendo credibilità grazie alle informazioni ottenute dal vicebrigadiere. E poi si fanno consegnare parecchie mazzette in nero per mettere a posto le cose in caso di necessità. O meglio, per usare il loro linguaggio, per coprire gli imprenditori «sotto il cappello» di impunità rappresentato da chi millanta buoni uffici romani.
Gli imprenditori raggirati, evidentemente, credono che il sistema possa funzionare. E vengono sì truffati, nel senso che viene delusa la loro aspettativa di poter corrompere la guardia di finanza. È per questo, probabilmente, che gli inquirenti hanno tenuto a rimarcare come non ci sia stata nessuna collaborazione da parte loro affinché prendesse il via l’indagine, che si riferisce a fatti iniziati anche nel 2006.
Come spiega il comandante del Nucleo di polizia tributaria di Milano, Vincenzo Tomei, «nessun imprenditore, nessuno della società civile ha sporto denuncia. Le persone coinvolte in questa vicenda sono ben inserite nel contesto sociale, vivono a Milano e non tengono in nessun conto l`idea di un`alternativa a questo modo di vivere. Questo è un aspetto che ci preoccupa molto». E la mancanza di rapporti con la politica è dovuta semplicemente al fatto che «qui gli indagati investono i soldi, non c`è bisogno di nessun politico».
Operatori economici descritti come personaggi che non hanno certo grandi riserve a scendere a compromessi. Come Giulio Lolli, latitante in Libia, unitosi ai ribelli anti Gheddafi durante la rivolta. Aveva il fiato sul collo della guardia di finanza per la bancarotta della sua azienda. E in più voleva avere notizie riservate sul conto del suo ex socio, con cui era ai ferri corti. L’approccio con i “mediatori” dei Facchineri gli era parso un improvviso colpo di fortuna in un momento difficilissimo. Ci ha rimesso 200mila euro. Poi è fuggito a Tripoli.

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