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"Meta", Giardina: «Talpe in questura»

REGGIO CALABRIA Imprenditore vicino alla cosca Pesce e personaggio di rilievo per le cosche della Piana e di Reggio. È questo il profilo che Valerio Giardina ha fornito di Gianluca Favara, una dell…

Pubblicato il: 02/03/2012 – 15:58
"Meta", Giardina: «Talpe in questura»

REGGIO CALABRIA Imprenditore vicino alla cosca Pesce e personaggio di rilievo per le cosche della Piana e di Reggio. È questo il profilo che Valerio Giardina ha fornito di Gianluca Favara, una delle figure chiave di “Meta”, il processo che ha portato alla sbarra il gotha dei clan reggini. Il colonnello dei carabinieri torna al tribunale di Reggio a due settimane dall’udienza che ha sconvolto la politica calabrese. Quella in cui, rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo, ha ripercorso l’informativa con cui il suo ufficio dava conto alla Procura della cupola affaristico-mafiosa che regola gli appalti a Reggio Calabria. Due settimane fa Giardina aveva parlato di Labate e Tino Scopelliti, provocando la furibonda reazione di Peppe Scopelliti. In conseguenza di quelle dichiarazioni, il governatore aveva rinviato il consiglio regionale e convocato una conferenza stampa per difendere l’operato del fratello, durante la quale  aveva attaccato frontalmente Giardina, aprendo un conflitto senza precedenti fra Regione Calabria e Arma dei carabinieri.

Interrogato dal pm Giuseppe Lombardo, nell’udienza di questa mattina Giardina ha riferito circa le attività di indagine che hanno permesso di scoprire un’attività estorsiva relativa all’aggiudicazione del servizio di lavanderia dell’Asl di Palmi. Secondo gli inquirenti un caso emblematico, grazie al quale è possibile ricostruire le modalità di gestione illecita degli appalti da parte delle cosche reggine. Dal contenuto delle intercettazioni, emerge che Favara, sfruttando i contatti con Ettore Bilardi, cognato di Venanzio Tripodo, era riuscito a evitare la partecipazione di altre ditte locali. Gara in seguito annullata, ma che ha comunque registrato l’intervento di diversi personaggi di spicco della criminalità organizzata attiva in tutta la provincia. Un aspetto che sottolinea l’operatività dei clan anche al di fuori del proprio territorio di appartenenza. Favara, titolare di diverse società operanti nel settore delle lavanderie, era particolarmente interessato all’aggiudicazione dell’appalto, da cui, secondo la ricostruzione del Ros, era stato estromesso perché non era riuscito a raggiungere un accordo con le altre organizzazioni criminali della zona. La conversazione più significativa – perché disegna le ingerenze delle ‘ndrine all’interno del tessuto economico calabrese – è quella tra lo stesso Favara, Ettore Bilardi e Santo Scopelliti. In questa circostanza – ha raccontato Giardina – Favara parla della gara rappresentandola come una semplice formalità: «Perché il lavoro era mio a casa mia, mi hanno voluto chiamare a me, per farmi un regalo a me, amici miei, una licitazione privata…fai quello che vuoi…». Le cimici piazzate dagli uomini di Giardina hanno poi permesso di rilevare il rancore di Favara nei confronti dei titolari delle lavanderie Ascioti e di alcuni componenti delle cosche della Piana di Gioia Tauro, “rei” di averlo contrastato nell’aggiudicazione della gara. Stando alle ricostruzioni degli inquirenti, l’aggiudicazione dell’appalto avveniva attraverso alcuni accordi tra i responsabili delle diverse imprese, che vedevano da un lato Favara e la “Nuova Olimpia srl”, dall’altra l’impresa di Antonino Cutrupi. Ditte a loro volta appoggiate rispettivamente dai clan di Rosarno e dagli Alvaro di Sinopoli.

«Favara – ha detto Giardina – è un elemento di spicco della cosca Pesce con funzioni di collegamento con le cosche di Villa San Giovanni e Reggio». Di certo una delle figure che ha permesso agli inquirenti di consolidare la tesi dell’unitarietà della ‘ndrangheta. Un personaggio controverso Favara, di difficile collocazione all’interno della galassia mafiosa della provincia reggina. Un uomo capace di gravitare sia attorno all’orbita dei Pesce-Bellocco, sia a quella dei Condello e del loro “braccio economico” in Lombardia, la famiglia Lampada. Favara riusciva ad allacciare rapporti con personaggi del calibro dei fratelli Pasquale e Natale Buda e di Cosimo Alvaro, figlio di Domenico, il principale artefice della pax mafiosa degli anni Novanta. Proprio Cosimo Alvaro, stando alla ricostruzione di Giardina, è riuscito a inserirsi nel tessuto economico di Reggio senza entrare in contrasto con le famiglie che storicamente controllano la città. Tra le attività gestite figurano il lido Calajunco, Villa Speranza e il ristorante Le Palme. L’ex colonnello del Ros lo definisce come una persona ossessionata dalla paura di essere intercettato e controllato: per questo cambiava continuamente numero di telefono e bonificava spesso gli ambienti che frequentava, avvalendosi anche di tecnici specializzati. A tal proposito Giardina parla di «scoperta sconcertante» relativamente alla figura dell’imprenditore Gianluca Morabito: «persona che lavorava per la questura e contemporaneamente era amico di Alvaro». C’era anche una talpa in questura, identificata dal colonnello dell`Arma in Domenico Ardizzone, l`uomo che informava Alvaro circa le indagini giudiziarie a suo carico.
Durante l’udienza di oggi si è registrata una dura presa di posizione da parte degli imputati del processo. È stato infatti acquisito agli atti un documento in cui viene denunciata la disparità di trattamento di fronte a identiche fonti di reato, che – stando alle accuse contenute nella lettera – in alcuni casi hanno portato a indagini e condanne, in altri non avrebbero sortito nemmeno un avviso di garanzia. A scatenare la polemica sarebbero state presunte intercettazioni omissate.
«Con le medesime fonti di prova oggi c`è chi è già stato arrestato o condannato o in atto processato e invece c`è chi non è stato destinatario
neppure di un avviso di garanzia».
Così uno dei difensori degli imputati del processo “Meta”, l`avvocato Francesco Calabrese, ha sintetizzato una lunga lettera di due fogli protocollo che alcuni detenuti hanno scritto durante l`udienza e fatto
consegnare al presidente del tribunale poco prima della conclusione.
A firmare la lettera, acquisita agli atti, sono stati Antonino Imerti, Pasquale Bertuca, Giovanni Rugolino, Antonino Crisalli, Domenico Condello, detto “Gingomma” (cugino del boss Pasquale Condello detto il “Supremo”), Domenico Passalacqua e Natale Buda.

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