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Boss in corsia, protesta in ospedale

MILANO Nel reparto accanto c`è un detenuto al 41 bis. Si chiama Giuseppe Nirta, ha settant`anni ed è il boss di un casato di `ndrangheta, accusato dell`omicidio di Bruno Pizzata nell`ambito della f…

Pubblicato il: 21/03/2012 – 11:16
Boss in corsia, protesta in ospedale

MILANO Nel reparto accanto c`è un detenuto al 41 bis. Si chiama Giuseppe Nirta, ha settant`anni ed è il boss di un casato di `ndrangheta, accusato dell`omicidio di Bruno Pizzata nell`ambito della faida tra la sua famiglia e quella dei Pelle-Vottari. Succede al San Paolo, ospedale di Milano in cui trovano posto anche pazienti sottoposti al carcere duro. E i problemi di convivenza con gli altri degenti sono sempre più difficili. Il boss calabrese, che è stato arrestato nel 2008 dopo una latitanza iniziata quando è scattata l`operazione “Fehida”, si trova da più di mille giorni in Cardiologia. «Noi non possiamo fare altro che obbedire alla magistratura – dicono i vertici dell’ospedale a Repubblica.it – Abbiamo anche sollecitato una dimissione del paziente, ma in assenza di nuove direttive abbiamo le mani legate». Al San Paolo, però, ha fatto due conti: la degenza di Nirta, che occupa una stanza destinata ai pazienti che pagano di tasca propria è costata circa 600mila euro. Non è tutto: il San Paolo ha in progetto di ampliare la propria sezione penitenziaria. E su questo ampliamento i sindacati autonomi (l’Usi e l’Usb) hanno indetto per stasera un’assemblea pubblica, aperta agli abitanti della Barona, che si terrà in via Modica. Le proteste, in corsia, montano: «Il problema è come garantire la sicurezza dei pazienti e dei lavoratori senza però trasformare l’ospedale in un fortino militare spiega Pino Petita, responsabile dell’Usi. I carcerati hanno il diritto di essere curati ma la “militarizzazione” del San Paolo rischia di avere un impatto negativo su chi viene a farsi curare da noi». Anche perché la sezione penitenziaria non è ospitata in un corpo staccato dell’ospedale ma, come spiega un volantino, «è attigua al centro prenotazioni e all’ambulatorio e sotto la sala parto». Con i nuovi letti per chi è sottoposto a carcere duro sono aumentate le telecamere di sorveglianza,. «Peccato che tutto questo sia stato fatto a nostra insaputa – spiega Petita –. Ci sono telecamere anche nelle zone ristoro riservate ai dipendenti, in palese violazione della privacy».

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